SISTEMA AUTO IN CRISI CHI SONO I VERI COLPEVOLI?
Quest’anno siamo stati i peggiori del pianeta che tra l’altro si appresta a chiudere il bilancio in positivo con qualche milione di auto in più. Noi, viceversa, siamo quelli che perdono, e anche tanto dato che in poco più di tre anni siamo scesi di oltre un milione di unità .
Le ragioni sono tante e in tanti hanno cercato di metterle in fila, a dir la verità con ben poca convinzione e con quasi nessuna ricetta per uscirne. La parola crisi è naturalmente la più pronunciata. Appare in ogni studio, è al centro di tutti i dibattiti e delle principali analisi finanziarie e sociologiche. È il nemico pubblico numero uno. Quella che sta cancellando l’automobile dalla shopping list degli italiani, improvvisamente più poveri. Molto più poveri. Al punto che anche la loro fiducia è al minimo storico: 3,05 secondo la misurazione di dicembre dell’Osservatorio Findometic. Cala la propensione al risparmio: 13,5% quelli che ritengono di poter mettere da parte qualcosa nell’arco dei prossimi 12 mesi (ad ottobre erano il 15,8%). Diminuiscono di conseguenza le previsioni di acquisto di auto nuove, con una quota che passa dall’8,4 al 7,4 per cento.
Nel frattempo, però, qualcosa è cresciuto. Sono le tasse sull’automobile, le accise sulla benzina (ormai un tema da cabaret visto che continuiamo a pagare, tra le altre, quelle sulla guerra d’Abissinia, il canale di Suez e il disastro del Vajont) così come i premi assicurativi, le multe e i pedaggi autostradali. Insomma, viene quasi da domandarsi perché uno dovrebbe ancora comprarsi un’automobile in Italia?
Se lo deve essere chiesto anche la Fiat che sta mollando gli ormeggi e guarda sempre più lontano, in America con la Chrysler e naturalmente in Brasile, lasciando il nostro paese al minimo necessario che poi non è altro che un vero disastro per l’economia. Perché una fabbrica è stata chiusa, le altre viaggiano grazie agli ammortizzatori sociali e Marchionne metterebbe i sigilli (se solo potesse) ad almeno altre due. D’altronde, dice il manager, perché continuare a produrre automobili dove non si vendono?
Già perché? Chi ha provato finora a rispondere davvero a questa domanda ne è uscito con un pugno di mosche. Perché d’accordo che c’è la crisi e tutto quello che abbiamo detto finora ma in fondo le tasse hanno sempre colpito duro gli automobilisti, la benzina in Italia è stata sempre tra le più care d’Europa. Certo, forse tutto questo è peggiorato ma basta davvero a mettere in ginocchio l’automobile? Basta davvero a cancellarne la voglia? No di certo. Ci deve essere dell’altro. E infatti c’è e arriva dall’interno del mondo automobilistico. È qualcosa che proviene da chi le macchine le produce e le vende. Dalle associazioni di categoria che dovrebbero rappresentare l’intera filiera.
Solo ora, e in enorme ritardo, si comincia a ragionare su un sistema di vendita vecchio, limitativo e pieno di insidie. L’auto è cambiata ma non il modo di venderla. Massimo Nordio, ad del gruppo Volkswagen, l’ha detto per primo: «Bisogna pagare non più il possesso ma l’uso, proprio come avviene con i beni di largo consumo» (Repubblica, 3 settembre 2012). Giusto. Ma provate ad avventurarvi tra i concessionari con una simile richiesta e vi passerà subito ogni voglia.
È difficile anche conoscere il prezzo vero di un’automobile e chi la vende non contribuisce affatto a chiarirlo. Un fenomeno che si chiama pubblicità ingannevole, quella che ti dice una cosa vantaggiosa a caratteri giganteschi e a lettere microscopiche scrive il resto, quasi sempre destinato a cancellare la convenienza. Così non si va da nessuna parte, si perdono clienti e soprattutto credibilità . E allora diventa inutile lamentarsi, cosa che, viceversa, tutti sanno fare ancora molto bene.
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