by Sergio Segio | 1 Dicembre 2012 5:50
MILANO — Non c’è due senza tre. E per la terza volta in un decennio la Sea e gli aeroporti di Milano falliscono l’atterraggio in Borsa. Ieri, alla chiusura dell’iter di quotazione, le sei banche incaricate di vendere il 25% della società di gestione di Linate e Malpensa erano riuscite a raccogliere ordini solo per un terzo del capitale destinato a Piazza Affari. Gli investitori – dicono diverse fonti – sono stati scoraggiati dal prezzo un po’ troppo alto e, soprattutto, dalle feroci polemiche scoppiate durante l’iter di quotazione tra il Comune di Milano e F2i, i due principali soci dell’azienda. E il cda – contrario a concedere uno sconto al mercato – ha preso atto del flop cancellando l’operazione.
Del resto sarebbe stato difficile scegliere di andare avanti. Le azioni offerte sul mercato sono state prenotate per non più di un 30% del totale e tutte nella parte bassa della forchetta. Tramontata anche l’ipotesi di prendersi ancora qualche giorno per convincere gli investitori, perché questo avrebbe voluto dire svalutare ancora di più la società .
Il fallimento dell’offerta lascia però dietro di sé una serie di pesanti strascichi giudiziari, politici e finanziari. «Bisognerà scoprire le cause di quanto accaduto, che penso siano evidenti a tutti e chi è responsabile ne pagherà le conseguenze ». È durissimo il giudizio del sindaco Giuliano Pisapia sull’esito dell’operazione. E senza farne il nome è evidente che si riferisce al socio di minoranza, il fondo F2i, guidato dall’ex manager di Stato, Vito Gamberale, che proprio dal Comune aveva rilevato il 29,5% delle azioni soltanto un anno fa. Non a caso, il consiglio di amministrazione di Sea ha già dato mandato al presidente Giuseppe Bonomi «di compiere ogni atto necessario e opportuno al fine della tutela dell’azienda». Il primo sarà quello di presentare un esposto alla Consob contro F2i perché avrebbe ostacolato il processo di quotazione, in quanto sarebbe stato costretto a scrivere una minusvalenza in bilancio sulla sua quota della Sea.
Il riferimento è alla doppia richiesta avanzata dal fondo per integrare il prospetto informativo e le critiche a una quotazione la cui forchetta del prezzo è stata giudicata troppo bassa. Concetti su cui, nella serata di ieri, è tornata la stessa F2i con un comunicato altrettanto polemico: «La richiesta da noi fatta di integrare il prospetto informativo è del 15 novembre scorso, ma dalla fine di ottobre gli investitori istituzionali avevano già fatto presente che a 800 milioni di valore avrebbero acquistato soltanto il 40% dell’offerta». Inoltre «bisognerebbe piuttosto spiegare perché un’azienda fatta valutare 11 mesi fa da Kpmg 1,3 miliardi di euro sia stata posta oggi in vendita a 800 milioni».
Una risposta sul fallimento della quotazione se l’è già data l’assessore al Bilancio Bruno Tabacci, fresco reduce da una prestazione non certo brillante alle primarie del Pd. E se la prende con le banche che dovevano curare la quotazioni. In particolare, con Imi e Unicredit. «Due istituti che hanno agito in odore di conflitto d’interessi, e non aggiungo altro», ha sottolineato Tabacci riferendosi al fatto che hanno sottoscritto alcune quote di F2i.
Quindi, a suo dire, avrebbero preferito tutelare il loro investimento piuttosto che il successo della quotazione.
Ma i problemi finanziari riguardano anche la Provincia di Milano. Il fallimento dell’Ipo mette in dubbio i conti dell’ente che sperava di incassare almeno 80 milioni per non sforare il patto di stabilità . Tanto è vero che già ieri sera ha fatto sapere che la sua quota del 14% di Sea, che non verrà più conferita in Borsa, verrà quanto prima messa all’asta. E F2i avrebbe già fatto sapere di essere interessata.
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