Salmoni . Via libera al trancio Ogm
NEW YORK. Un pesce di nome Frankenstein: ma siamo proprio sicuri che l’ultima prelibatezza Ogm non sia un pericolo per la salute? L’ente americano che sovrintende alla sicurezza nel piatto ha deciso di sì: visto si mangi. E con una sospettabile scelta di tempo ha dato il via libera proprio sotto Natale: quando le tavole di tutto il mondo sono imbandite di delizie color salmone. L’annuncio è stato dato alla vigilia ma le documentazione sul primo pesce geneticamente modificato è stata pubblicata soltanto ieri, Santo Stefano Protomartire, sul Federal Register.
Da questo momento in poi chi è contrario alzi la mano. Come succede proprio con le pubblicazioni di nozze, restano 60 giorni perché qualcuno possa convincerci che questo matrimonio tra il salmone dell’Atlantico e quello del Pacifico non s’ha da fare. Dopodiché, pancia mia fatti capanna: anzi capannone, visto che il Frankenfish, così ribattezzato dai critici, è capace di superare da due a tre volte la grandezza dei più comuni fish.
La moltiplicazione dei pesci è un miracolo su cui Aqua Bounty Technologies ha scommesso la bellezza di 58 milioni di dollari. Una sfida che la società del Massachusetts, cioè lo stato dove si staglia il Mit, l’istituto di tecnologia più avanzato del mondo, ha aperto alla fine degli anni 80 e che ha rischiato di prosciugare non solo le vasche dove nuotano i salmoni sperimentali ma addirittura le sue stesse casse: solo un milione e mezzo il cash finora rimasto. Le 145 pagine della nuova relazione della Food and Drugs Administration sono quindi più che una benedizione. Già due anni fa l’ente federale aveva detto che il transfish «è sicuro come il salmone convenzionale e c’è ragionevole certezza che non sia dannoso al consumo». Però ci sono voluti due anni per mettere nero su bianco quella ragionevole certezza e sciogliere gli ultimi dubbi sulla nuovissima “specie”: modestamente ribattezzata col marchio di famiglia AquaAdvantege. Ma quale sarebbero appunto i vantaggi del pesce geneticamente modificato?
Il salmone più usato di qui, l’Atlantic Salmon, viene rinforzato da un gene del Chinook Salmon, il pesce che prospera nel Pacifico ma anche nei sistemi fluviali nordamericani, dall’Alaska alla California. Il gene è
doppiamente modificato. L’interruttore si trova infatti nel Dna dell’Ocean Pout, una sorta di Pescegatto degli Oceani ricco di proteine che danno resistenza al gelo ma che in questo caso viene utilizzato soprattutto perché stimolerebbe ancora di più la crescita. Il simpatico pesce modificato non sguazzerà poi negli stabilimenti marini che già producono il salmone d’allevamento che invade le tavole
Usa. Ci saranno solo un centro in Canada e uno a Panama dove il transfish verrà “assemblato” e direttamente trasformato in filetti da spedire poi sul mercato americano. Un’ultima precauzione, questa, per aggirare l’ultima paura: che il pesce modificato possa fuggire e invadere così le acque dei pesci nomarli e quindi geneticamente più deboli. Che succederebbe infatti se l’AquaAdvantage si avvantaggiasse al punto da distruggere i rivali?
I difensori dell’alimentazione hi-tech replicano sicuri: ma questa è fantascienza! E in fondo un po’ hanno ragione: “Frankenfish” è un b-movie che raccontava l’invasione dei pesci- mostro. Ma il film del 2004 si ispira a una famoso fatto di cronaca: l’invasione a Crofton, Maryland, degli snakehead, pesci aggressivi e voraci, capaci pure di muoversi per brevi distanze sulla terraferma. E “scappati” da un mercato asiatico poco distante di là .
Per carità : non aspettiamoci adesso che il pesce Ogm possa camminare così fino al nostro piatto. E del resto, almeno per ora, noi europei siamo salvi: molte legislazioni nazionali vietano infatti il cibo geneticamente modificato. Che secondo la legge Usa invece non verrebbe neppure chiamato tale. Aqua-Bounty garantisce che il suo salmone ha «lo stesso sapore, tessuto, colore e odore»: ed essendo fatto dello stesso “materiale” del salmone normale non verrebbe quindi etichettato come “prodotto Ogm”. Anche il mercato d’altronde vuole la sua parte. E va bene che il transfish abbatterebbe ancora di più i costi: ma chi sarebbe pronto a portarsi a tavola un pesce di nome Frankenstein?
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