Roubini: “L’Italia sta molto meglio ora la Germania spinga la crescita”

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ROMA â€” «È fuor di dubbio che la situazione in Europa sia notevolmente migliorata. Solo sei mesi fa, alla vigilia del discorso di Draghi con la proclamazione del piano d’interventi della Bce e la rassicurazione che la banca era «pronta a tutto» per salvare l’euro, il tracollo sembrava imminente. I tassi sui bond italiani erano al 6,75%, quello spagnoli al 7,75, tutto sembrava sul punto di crollare ed effettivamente poteva crollare da un momento all’altro. Ora il quadro è completamente diverso». Nouriel Roubini non viene più chiamato «Dr. Doom», dottor sciagura, bensì «Dr. Realism». E in quest’intervista ci spiega perché.

Allora, professore, scampato pericolo?
«Beh, intendiamoci. La recessione deve ancora toccare il fondo, il credit crunch è tutto lì, il sentimento sia dei consumatori che delle imprese è ancora basso. Eppure, soprattutto alla luce dei programmi di austerity impostati da molti Paesi a partire da Grecia, Spagna e Italia, si intravede la luce in fondo al tunnel. L’accordo dell’altro giorno per il debito di Atene è stato un passaggio fondamentale, innanzitutto perché è stata la prova certa, ed è la prima volta che accade, della determinazione tedesca di mantenere unito l’euro. Troppi sarebbero stati per Berlino i rischi di frantumazione della moneta, con danni gravissimi non solo per la perdita di partner commerciali ma anche di sostanziali crediti che sarebbero diventati inesigibili».
Ora quali potrebbero essere i tempi per il completo recupero?
«Sarei molto cauto. È opinione diffusa che la ripresa cominci nella seconda metà  del 2013. Secondo me bisognerà  attendere i primi mesi del 2014».
Sono tempi ancora lunghi. Cosa si deve fare per accelerarli?
«Qui tocchiamo l’essenza stessa del problema. Tutto dipende dall’Europa, dalla Bce e dalla Germania. Almeno voi in Italia, e probabilmente anche negli altri Paesi in difficoltà ,
avete fatto buona parte di quanto era nelle vostre possibilità . E’ la Germania, l’unica che può permetterselo, che deve ora impostare programmi di stimolo interni e anche progetti di respiro internazionale che tornino a trainare la domanda. Quanto all’Europa, si deve affrettare il processo di unificazione fiscale e monetaria, compresa la vigilanza bancaria, e quanto alla Bce deve procedere con maggior coraggio sulla strada degli interventi sia ortodossi che atipici. Fra i primi, serve più coraggio sui tassi: ridurli ulteriormente per facilitare la circolazione del denaro e realisticamente abbassare il valore dell’euro rispetto al dollaro a tutto vantaggio delle esportazioni. E fra gli interventi straordinari, spingerei sul quantitave easing nei vari modi. È bastato l’annuncio di una varietà  di esso, appunto il riacquisto illimitato dei buoni governativi, perché si riducessero gli spread e i tassi. E senza che venisse ancora speso un centesimo».
L’Italia è stata la prima beneficiaria dell’annuncio di Draghi. In che misura però contribuisce al rasserenamento il governo Monti?
«In grandissima misura. Anzi, se un motivo di preoccupazione internazionale rimane, è legato al dopo-Monti. Se, chiunque sia il vincitore delle elezioni della prossima primavera, darà  l’impressione di restare fedele al «montismo», meglio se con qualche esponente del governo tecnico dentro il futuro esecutivo, a partire dall’attuale premier, tutto diventerà  più semplice. Voglio essere più preciso: così come ha esagerato la Germania ad imporre una linea di eccessivo rigore, e ora se ne sta rendendo conto, ha altrettanto calcato troppo la mano il governo italiano. Con il rischio di provocare eccessive sofferenze nella popolazione. Ma ci sono fondate speranze che anch’esso se ne renda conto. Ecco, per il futuro dell’Italia vi auguro un montismo con un tocco di umanità  in più».
Se in Europa si vive un momento di tregua, la tempesta potrebbe arrivare dall’America: quali sono secondo lei le possibilità  che si scampi il fiscal cliff?
«Diciamo che allo stato delle trattative siamo al 50%. Però, attenzione: circolano voci allarmistiche, tipo 600 miliardi di dollari sottratti all’economia, il 4% del Pil. Sono grossolane esagerazioni. Secondo i nostri calcoli, verrà  sottratto al Pil non più dell’1%. Sarebbe poca cose in presenza di una crescita, per dire, del 3,5% quale sarebbe il potenziale. Ma visto che la previsione di crescita non supera il 2-2,5%, come potete vedere il danno esiste, eccome».
Vuol dire che l’economia americana crescerà  di appena più dell’1%?
«Bisogna considerare nel calcolo i benefici del quantitativeeasinge di altre agevolazioni che in parte compensano, per cui si potrà  arrivare intorno all’1,5%. Non è recessione ma è comunque poco. Soprattutto, coinciderà  con l’esperimento di austerity in America, che avrà  effetti deprimenti identici a quelli europei. Come si è detto per tutti questi anni per l’Europa, anche in America si è vissuto al di sopra delle possibi-lità , si è rubato Pil al futuro. E ora si paga il conto».


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