Rilancio dell’«agenda». Ma niente lista Monti

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ROMA — Chi ci spera ancora rischia di rimanere deluso. Ma il presidente del Consiglio dimissionario sente di avere «la coscienza a posto», di fronte ai cittadini e di fronte ai leader dei partiti. La tentazione è forte, è vero. E però il Professore non sbaglia quando ricorda ai suoi ministri che mai, in nessuna dichiarazione ufficiale, ha affermato di volersi candidare alle Politiche, mai ha fatto balenare pubblicamente la possibilità  di un endorsement a favore di quelle forze centriste che hanno investito tutto sul suo nome.
E così, dopo averci riflettuto intensamente per settimane, il Professore ha maturato la convinzione che le condizioni per una discesa in campo per adesso non ci sono. E dunque non ci sarà  il suo nome sulle liste. Troppi ostacoli sul cammino, troppi rischi per quel «tesoro» di idee e riforme a cui il premier uscente tiene assai più del proprio destino personale. Ai ministri, che lo hanno visto ancora incerto sull’approdo, Monti ha spiegato che la discesa in campo non è nel suo stile e che, per quanto tirato per la giacca, non può accettare «una candidatura che rischia di dividere anziché unire». La posizione durissima del Pd, D’Alema in primis, lo ha impressionato e scoraggiato. E pure la squadra di governo si è divisa in favorevoli e contrari. Se Corrado Passera si è molto speso per convincere il Professore alla sfida, Paola Severino, tra gli altri, lo ha messo in guardia: «Pensaci bene, Mario. Ci sono troppi rischi… E se non vinci?».
Alla fine, come sempre, il Professore ha fatto di testa sua. E non è per via dei sondaggi non brillantissimi che ha scelto la linea soft, cautela e gradualità . Quando è salito al Quirinale per rassegnare il mandato Monti era di «animo sereno», ma aveva dipinta sul viso un’espressione mesta. «Il clima non era allegrissimo…», confermano i collaboratori più stretti. E però al Colle, dopo giorni non privi di incomprensioni, la scelta di restare fermo e di non concedere il proprio «brand» a Montezemolo e Casini — con il quale ci sono alcune tensioni — lo ha rimesso in sintonia con Napolitano.
Non si pensi però che Monti abbia scelto il disimpegno, perché la road map di Palazzo Chigi non prevede l’uscita di scena. Il primo e «fondamentale» passo è far conoscere agli elettori quanto è stato fatto in questo anno «difficile e affascinante» e quanto ancora un esecutivo che raccolga l’agenda Monti potrebbe fare: un manifesto programmatico che gli consentirebbe di restare sulla scena da riserva della Repubblica, in attesa di una chiamata che potrebbe arrivare dopo il voto in caso di risultato elettorale incerto e ingovernabilità  al Senato. Il secondo step — ma qui davvero Monti non ha ancora deciso — potrebbe essere una sorta di appoggio esterno, diluito nel tempo, alle liste centriste, il cui destino elettorale è appeso alle sue mosse.
La sua eredità  al Paese il professore la consegnerà  domani durante la conferenza stampa di fine anno, sotto forma di memorandum. Una sorta di «Bibbia» dell’esecutivo tecnico che sposti l’attenzione dalle persone ai contenuti e metta nero su bianco il bilancio delle cose fatte e il progetto di quelle da fare. In due parole: l’Agenda Monti. I pilastri sono consolidamento dei conti e crescita economica, ma la novità  è un pacchetto di provvedimenti per alleggerire finalmente la pressione fiscale per famiglie e imprese. Se la stabilizzazione verso il basso dello spread consentirà , come Monti spera, di allentare la morsa del rigore, sarà  possibile rivedere gli scaglioni dell’Irpef e introdurre vantaggi fiscali per le imprese che fanno innovazione e si internazionalizzano. Riforme che i cittadini aspettano con ansia e che Monti aveva anche pensato di spendere in campagna elettorale, se mai avesse deciso di scendere nell’agone.
È una agenda corposa quella che Monti si appresta a presentare «per vedere chi ci sta», con la consapevolezza che Vendola e l’ala sinistra del Pd diranno no. Se c’è una cosa che lo ha frenato è stato il timore che un suo schierarsi avrebbe contribuito a spaccare il Paese, mentre Monti vuole essere colui che unisce. «E il memorandum — avrebbe confidato al suo entourage — può essere lo strumento migliore per federare i moderati». L’agenda, nella sua versione definitiva, contiene le grandi riforme strutturali che garantirebbero il consolidamento della finanza pubblica. Su pensioni e Imu non si torna indietro, ma una seconda patrimoniale non è la cura che serve all’Italia. Sul fronte della crescita il capitolo più «pesante» è quello delle liberalizzazioni ideate da Passera: professioni, servizi, energia, gas, trasporti e servizi pubblici locali. Ma c’è molto di più: dalla fase due della spending review di Piero Giarda ai progetti di Elsa Fornero per mettere in moto l’occupazione dei giovani.


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