Rieducazione spagnola

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MADRID. La scuola pubblica spagnola agonizza sotto la stretta asfissiante del ministro della pubblica istruzione José Ignacio Wert, firmatario del piano di tagli che va paradossalmente sotto il nome di «legge per il miglioramento della qualità  educativa». Un pacchetto di misure che sfida la logica e sfiora la beffa: incrementa la qualità  della docenza pubblica riducendone drasticamente le risorse. I fondi per l’università , infatti, si assottiglieranno del 18% e l’investimento non finanziario per la ricerca riceverà  una coltellata mortale che lo ridurrà  dell’80%. E a ciò va aggiunto il blocco delle assunzioni del personale docente.
Una situazione di emergenza che ha messo in agitazione il mondo universitario. Lunedì i rettori di cinquanta atenei pubblici hanno letto simultaneamente un comunicato di denuncia contro il «deterioramento irreparabile» che questi provvedimenti stanno causando all’istruzione e alla ricerca. «Senza investimenti – prosegue il testo – il mantenimento delle università  pubbliche diventerà  impossibile, e senza la diffusione della conoscenza non ci sarà  progresso».
Una verità  talmente cristallina che José Carrillo, il rettore della Universidad complutense di Madrid (il primo ateneo della capitale) ha voluto interpretare il giro di vite di Wert come una deliberata strategia per avviare un «processo di privatizzazione del sistema universitario».
Il meccanismo sarebbe peraltro lo stesso già  applicato alla sanità : affossare il settore pubblico, per poi privatizzarlo puntando il dito sulla sua insostenibilità .
La capitale è già  abbastanza avanti su questo cammino. Le sue sei università  pubbliche vivono in uno stato di cronica anemia economica: i fondi del governo regionale si sono ridotti progressivamente negli ultimi 4 anni, generando un buco di 200 milioni nelle sole casse della Complutense.
Ma non sono soltanto i tagli a suscitare il sospetto di una riforma propedeutica alla privatizzazione. Va in questa direzione anche la decisione di far pagare tra il 15 e il 25% del costo degli studi universitari pubblici all’atto dell’immatricolazione, riducendo così la competitività  degli atenei statali.
Il rettore della Complutense ha criticato duramente anche il tentativo di Wert di «ideologizzare la scuola», riferendosi alle limitazioni imposte dalla riforma alla spinosa questione della docenza in catalano e alla reintroduzione dell’alternativa obbligatoria all’ora di religione (regalo di Natale alle gerarchie cattoliche che ringraziano anche per l’eliminazione della «educazione alla cittadinanza», materia introdotta dal Psoe per educare alle convivenza civile e alla diversità ). «C’è un contenuto ideologico dietro questi provvedimenti – ha dischiarato Carrillo – Si parla spesso dei nazionalismi periferici, però a volte il nazionalismo centralista ha effetti molto deleteri, soprattutto su queste questioni. Si è fatto senz’altro un passo indietro».
E proprio per protestare contro questo arretramento sono scese in piazza l’altro ieri a Barcellona, al grido di «per un paà­s de tots, l’escola en català », migliaia di persone convocate dalla piattaforma Som Escola. L’organizzazione ha chiamato alla disobbedienza nei confronti della legge Wert, difendendo la validità  di un modello di docenza che – anche secondo molti osservatori esterni – si è dimostrato efficiente sia dal punto di vista linguistico che da quello pedagogico.
Alla manifestazione hanno partecipato anche i principali partiti nazionalisti (tra cui Convergència i unià³ che siede alla guida della regione e Ezquerra republicana de Catalunya, seconda forza del parlamento catalano). Uniti, tutti, in difesa del modello di immersione linguistica, e pronti, alcuni, a sfruttare l’ennesimo assist di Madrid per soffiare sul fuoco (sempre vivo, come hanno dimostrato il dispiego di bandiere catalane e gli inni alla Catalogna nazione) dell’indipendentismo.
La questione linguistica è stata anche al centro di un fuori programma avvenuto ieri nel parlamento nazionale durante la cerimonia di premiazione di un concorso per ragazzi: due studenti di un liceo di Valencia sono intervenuti per chiedere ai deputati che anche nella Comunitat valenciana venga garantito l’insegnamento nella lingua regionale


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