Quel Professore in loden domatore dello spread

by Sergio Segio | 9 Dicembre 2012 8:46

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UN anno di Monti. O poco più. Si chiudono gli occhi, si ritorna indietro con la memoria e oltrepassando un oceano di gravosa irrilevanza e indispensabile futilità  lo sguardo della mente si fissa a quella specie di riunione surreale, e al tempo stesso concretissima, che si dovette svolgere subito dopo l’incarico.
Perciò un bel giorno quel signore compassato che da pochissimo fungeva da presidente del governo tecnico, con la calma che già  allora lo contraddistingueva, e che per dodici mesi è stata la sua arma micidiale, dovette ricevere quei tre leader, Alfano Bersani e Casini, che il giornalismo politico, con le sue liete regressioni, ponevano inesorabilmente alla testa di una maggioranza qualificata con il più ambiguo degli aggettivi: “strana”.
E una volta iniziata la riunione, senza che allora né Bersani né Casini osassero ancora accendere quei loro sigaracci che impestavano i damaschi di Palazzo Chigi, Monti comprese subito che i politici, come al solito, cincischiavano. Il verbo non rientrava esattamente nel suo linguaggio accademico, ma quello era il senso. Traccheggiavano, perdevano tempo, pure punzecchiandosi tra loro. E dunque riprese la parola e disse: “Forse non ci siamo capiti”. E fece una lunga pausa. Abbassò gli occhi, forse, oppure guardò in faccia i suoi tre interlocutori. Riprese: “L’Italia ha pochi mesi di vita. Se non interveniamo subito, andiamo in default. Non riusciremo più a pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici, e in tutto il paese si fermeranno i bus e i tram”.
Il richiamo al tram poteva suonare desueto, o molto milanese. Molto altro poteva fermarsi. Il senso delle sue parole era chiaro. Monti avrà  poi modo di polemizzare, con fredda cortesia, con i giornalisti imprecisi e fantasiosi pronti ad attribuirgli virgolettati inauditi. Ma che l’Italia fosse messa molto male, e strana o non strana fosse la maggioranza, quei tre signori lo dovevano assecondare. Punto e basta e buonanotte. Così fu, o meglio, così iniziò.
Se adesso tutto sta andando a rotoli, se Bersani s’è ringalluzzito, se Alfano è uno strumento molle nelle mani del suo Signore, se Casini ha pure lui i suoi problemi, non dipende dal professor Monti. Il quale qualcosa ha certamente fatto per scongiurare il disastro e comunque ha retto un anno. “Un percorso di guerra” ha detto una volta, lui che di solito disdegna le metafore, figurarsi quelle di ordine bellico.
E allora, dopo l’ininterrotto carnevale berlusconiano, venne il tempo della quaresima tecnocratica e professorale. Governo così così, a parte il presidente. Luci e ombre. Oligarchia e sobrietà . Loden, trolley, ministri in car-sharing, carezze fiscali a Santa Romana Chiesa, pastrocchi esodati, riforma del lavoro che ancora non si è tanto capito se l’hanno fatta o no, idem la spending review, però i blitz della Guardia di Finanza a Cortina e in altri luoghi mirati, quelli sì che si sono visti. Anche i suicidi, però, nel senso che non è chiaro se sono aumentati oppure no. Alla Rai è cambiata la dirigenza, speriamo bene.
Un anno è un sacco di tempo, però è anche pochino. Il grande motore immobile del governo Monti è stato a lungo il ricordo del governo Berlusconi, che sollecitava l’intervento della Banca centrale europea e poi non le dava retta. Però varava una manovra appresso all’altra, con Tremonti e il Cavaliere che avevano delegato a far da paciere Bossi, tra una pernacchia e l’altra. Come primo compito – ma non poteva dirlo – Monti si è dato il compito di ripristinare la credibilità  italiana devastata da cu-cù e bunga bunga e altre simpatiche notazioni di ordine fisico a proposito di potenti leader europee.
Per questo il Professore ha viaggiato come nessun altro premier, e ottenuto stima e riconoscimenti. Ha pure impostato una linea di alleanze, e anche “mister Obaaaama”, come strepitò il suo predecessore, si fida. Ma la politica estera italiana è ancora abbastanza enigmatica. E i cenacoli tipo Bilderberg aiutano fino a un certo punto.
I ricordi si affollano, ma tutti insieme sembrano anche un po’ rarefatti. Monti dice no alle Olimpiadi, vorrebbe sospendere il calcio per qualche anno, sente il bisogno di riaffermare che “anche i tecnici sono persone umane”. La Fiat ha tutta l’intenzione di squagliarsela: che fare? Il comandante Schettino porta la “Costa-Concordia” sugli scogli? Sarò il caso di andare ai funerali? Arrivano i primi fischi, le prime e poi anche le seconde piazzate dei leghisti in aula, non c’è volta che la gelida cortesia del presidente Monti debba sciogliersi in qualcos’altro. Un giorno, dopo un incontro con la Comunità  di Sant’Egidio, gli mettono un piccolo senegalese in braccio.
E viene da pensare se mai avrebbe immaginato, quest’uomo serio e composto, questo sapiente poliglotta, che governare un paese come l’Italia non significava solo decidere, per forza di calcoli, sulla vita dei cittadini, ma voleva anche dire, e certe volte soprattutto, entrare nell’immaginario della collettività ; rispondere meticolosamente sul coste della cena di Capodanno o della casa delle vacanze estive; aprire l’album di famiglia, possibilmente cum grano salis; e una volta, a Villa Madama, lasciare che i fotografi riprendano in sequenza la scena di un governante che tira fuori dalla tasca della giacca un pettinino per darsi una ravvivata al capello.
E tutto mentre chiudono un bel po’ di fabbriche, e un giovane su tre o su quattro non ha lavoro, e cominciano a circolare banconote illegali e riparte – pensa tu, caro professore – il baratto. Eppure, sarebbe sbagliato e anche ingiusto dire che Monti non abbia rassicurato gli italiani. Lui sì, il suo governo un po’ meno. Ma a leggere controluce la satira questo suo ruolo è difficile negare: «L’altro giorno ho scoperto la mia ragazza a letto con Monti e mi sono rassicurato» si è letto in una raccolta umoristica (Spinosa. it) tanto più significativa quanto più proveniente “dal basso”.
O almeno. Nessun altro leader – definizione che volente o nolente ormai gli si attaglia – è stato più di lui percepito come in grado di rovesciare le verità  più consolidate: «Carosello andava a letto dopo Monti», «La patonza fa girare Monti» e «Godot aspetta Monti». Sempre secondo questo genere di sintomatiche facezie il premier disponeva di uno specialissimo aiuto: «Dio crede in Monti» – e su quest’ultimo assioma, che pure avrebbe una rilevanza addirittura a livello teologico, c’è da sperare che non sia solo satira perché la situazione continua a restare brutta.
Lo è diventata ancora di più a partire da ieri sera. Da quando la maggioranza non appare più nemmeno “strana”, non c’è proprio, si è dissolta, e nemmeno si è preoccupata di fargli sapere quali leggi intende salvare prima di buttarsi nel gorgo della campagna elettorale.
Un anno di Monti, e poco più. Sembra tutto così lontano e così vicino. Nirvana e Apocalisse. Tecnocrazia e Grecia. SuperMario non è più tanto di moda, però l’anti-politica non gioca certo a favore dei partiti. “Forse non ci siamo capiti” disse il Professore. Forse capire resta un privilegio, un sacrificio, una fatica, una speranza, o forse come sempre si tratta di portare pazienza.

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