Quei libri coperti dal cellophane Piove nella Biblioteca di Firenze

by Sergio Segio | 9 Dicembre 2012 8:29

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  Ricordate l’«accordo epocale» con Google per digitalizzare un milione di libri delle biblioteche italiane? Tre anni dopo (quasi il tempo impiegato dai cinesi per un ponte di 36 chilometri nel mare di Shanghai) non ne hanno trattato manco uno: il primo sarà  consegnato allo scanner domani mattina. Evviva. E intanto alla Biblioteca nazionale centrale di Firenze, nella sala di lettura, le librerie sono coperte dal cellophane: quando piove, piove dentro. Un’immagine che da sola illustra lo stato spesso penoso delle biblioteche italiane.
Gli amici dell’«Associazione lettori» ci ridono sopra con amarezza. E accompagnano le fotografie inviate al Corriere di quelle librerie al primo piano protette con teli di plastica per mettere i libri al riparo se diluvia, cosa accaduta per settimane da novembre in qua, con una didascalia ironica. Che fa il verso alla canzone Singin’ in the rain che Gene Kelly cantava allegro giocando con l’ombrello sotto la grondaia: «Studying in the rain». Studiando sotto la pioggia.
Certo, le condizioni rispetto all’anno scorso, quando l’Associazione lettori si spinse a chiedere l’intervento dell’Asl perché nelle sale di lettura il riscaldamento non funzionava e «certi giorni faceva troppo freddo per studiare anche col cappotto», spiega la ricercatrice Eliana Carrara, è migliorata. Ma è fuori discussione che, al di là  della dedizione e degli sforzi per fare le nozze coi fichi secchi da parte di tante persone di buona volontà , dalla direttrice Maria Letizia Sebastiani all’ultimo dei bibliotecari, la più grande biblioteca italiana (sei milioni di volumi, quasi tre di opuscoli, 25 mila manoscritti, 4 mila incunaboli, 120 chilometri lineari di scaffalature…) non è trattata da anni come dovrebbe essere trattato un grande tesoro culturale.
E se questo vale per la biblioteca fiorentina, vale a maggior ragione per tutte le altre sparse per la penisola. Al punto che qualche settimana fa fu organizzata a Napoli e in tutta Italia la giornata del «BiblioPride». L’orgoglio bibliotecario. Certo, le nostre biblioteche soffrono di una debolezza storica: sono troppe. Lo diceva già  nel lontano 1867 l’allora prefetto, cioè direttore, della grande istituzione fiorentina Desiderio Chilovi: «Le “nazionali” italiane sono per numero sovrabbondanti; giacché lo Stato non è in grado di sopportarne la spesa occorrente». Da allora hanno continuato a crescere e oggi non solo siamo gli unici, accusa l’Associazione italiana biblioteche, ad aver due grandi biblioteche centrali, a Firenze e a Roma, ma ne abbiamo ben 46 statali. «Nessuno Stato al mondo» sbuffava già  nel 1972 l’allora direttore della «Nazionale» fiorentina Emanuele Casamassima «gestisce direttamente tante biblioteche».
Risultato: è impossibile concentrare gli sforzi su poche eccellenze, come fanno in Francia, in America o in Gran Bretagna. E tutto finisce per disperdersi in un’infinità  di rivoli. Con conseguenze pesantissime. Tre soli esempi? La chiusura della biblioteca di Pisa dal 29 maggio perché dopo sei mesi non c’è ancora una perizia sui danni subiti a causa della scossa di terremoto in Emilia. Lo sciopero alla Biblioteca «Alberto Bombace» di Palermo, forse la più importante della Sicilia, perché il taglio dei fondi ha costretto a ridurre da sei a due le «spolverature» annuali col risultato che i libri sono coperti dalla polvere. La decisione di alcuni docenti della «Sapienza», guidati dall’antropologa Laura Faranda, di fare loro i «commessi di sala» per riaprire le biblioteche dell’università  chiuse a metà  ottobre «per mancanza di personale e il definitivo taglio alle borse di studio degli studenti che, negli ultimi anni, hanno garantito il servizio di sala, la distribuzione dei libri e i controlli». Ma sono un po’ tutte le 12.375 biblioteche censite dal ministero a versare in condizioni difficili. Non solo economiche ma spesso strutturali.
Investito dalla protesta del «BiblioPride», il Consiglio superiore per i beni culturali ha varato un mese fa «un piano straordinario di interventi» per 6.602.820 euro. Il tutto, spiegava il comunicato, «risponde alla necessità  sempre più pressante di tutela del patrimonio librario e prevede interventi di carattere strutturale e di sicurezza delle sedi». A partire dalla Biblioteca dei Girolamini (travolta dallo scandalo dei libri rubati dal direttore Massimo Marino de Caro) e dalla «Nazionale» di Firenze, che dovrebbe avere oltre 600 mila euro destinati in buona parte ai tetti e alle caldaie: «L’anno scorso gli impiegati lavoravano in giacca a vento — ricorda Natalia Piombino, portavoce dell’Associazione lettori —. Ma le difficoltà  sono generali. Vent’anni fa c’erano 400 dipendenti e adesso credo siano 188, dei quali una trentina di lavoratori “svantaggiati” che non possono essere adibiti a certi ruoli. Per non dire di spese assurde come gli 80 mila euro l’anno che il Comune vuole di tassa sui rifiuti. Ha dovuto intervenire un mecenate privato per pagare gli 80 euro al mese per il servizio di trasporto delle riviste in abbonamento…». Alle altre 17 biblioteche elencate, dalla Marciana di Venezia alla Reale di Torino, dalla Braidense di Milano alla Alessandrina di Roma dovrebbero andare poco più che degli oboli.
Del resto la stessa Rossana Rummo, direttore generale del ministero per le biblioteche, ha riconosciuto che i tagli sono stati via via «spaventosi»: «Negli ultimi 7 anni, lo sviluppo dei servizi informatici è diminuito del 64% e del 93% per la catalogazione. Il budget, rispetto al 2005, è sceso del 63%». «Eppure quello dei soldi è solo uno dei problemi» denuncia il presidente dell’Aib Stefano Parisi «qualunque stanziamento straordinario, in una situazione sclerotizzata come questa, non risolverebbe granché. Va messo ordine. È assurdo che a Roma oltre alla “Nazionale”, ci siano altre otto biblioteche statali. Come minimo vanno coordinate».
Come funzioni da noi rispetto all’estero lo spiega L’Italia che legge, di Giovanni Solimine: «Le due biblioteche nazionali vedono i loro bilanci ridursi al lumicino (un milione e mezzo quella di Roma e 2 milioni quella di Firenze), mentre quelli delle consorelle europee sono di tutt’altro ordine di grandezza: Parigi 254 milioni, Londra 160 milioni, Madrid 52 milioni». Quanto alla Bibliothèque Nationale parigina, «ha un numero di dipendenti più elevato di tutte le 46 biblioteche statali italiane messe insieme». Certo, da noi questi non sono direttamente pagati dalle biblioteche ma dai ministeri. Ma resta una sproporzione immensa.
Dice uno studio di Claudio Leombroni, responsabile Rete bibliotecaria della Romagna e di San Marino, che lo Stato dava nel 1892 alla Biblioteca nazionale di Roma, per comprare libri e riviste, l’equivalente attuale di 266.190 euro: oggi ne dà  120.000. E lo stesso, più o meno, vale per Firenze. Per non dire delle biblioteche «minori», ridotte più o meno alla fame. Bene: nonostante la crisi morda anche a Londra, la British Library nel 2011 ha contato per la stessa voce, dice il bilancio a pagina 45, su un budget di 16,5 milioni di sterline. La Bibliothèque Nationale, stando ancora ai dati forniti dall’Associazione italiana biblioteche, su 19,6 milioni di euro.
Un abisso. Del resto, il nostro sistema è così farraginoso, ormai, che fatichiamo a sfruttare anche le occasioni. Come, appunto, l’accordo con Google. Il motore di ricerca americano aveva stretto ai primi di marzo 2009, dopo nove mesi di trattative, un’intesa con l’allora ministro Sandro Bondi per digitalizzare un milione di libri antichi e non più coperti dal copyright contenuti nelle biblioteche italiane. Noi avremmo dovuto mettere solo 2 milioni di euro, loro circa un centinaio per poi fornire i testi a disposizione degli utenti dell’intero pianeta. Bene: quando si è installata Rossana Rummo, a luglio, «era ancora tutto bloccato in Corte dei conti». Colpa di mille impicci burocratici. Lacci e lacciuoli. Risultato: il primo carrello di libri sarà  consegnato al centro allestito appositamente a Roma da Google, solo domani mattina.

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