Quando la politica nasce in convento
E che addirittura Monti potesse tessere la trama delle liste nell’abitazione di un monsignore. Non era il convento di Santa Dorotea e nemmeno l’eremo di Camaldoli dove i laureati cattolici delineavano il loro programma per l’Italia postfascista. Ma non era nemmeno un’aula universitaria, la cui frequentazione sembra molto più consona al premier tecnico per eccellenza.
Monti, nel corso della riunione in cui si sono precisate modalità di liste e di simboli, avrà avuto davanti ai suoi occhi il marchio storico dell’Udc di Casini, così simile, quasi identico, allo scudo crociato di democristiana memoria. Il giorno prima aveva incassato l’endorsement dell’«Osservatore Romano», poi quello di «Avvenire», a dimostrazione di come la Cei di Bagnasco sia tutt’altro che indifferente alla sorte del nuovo Centro. E c’era Riccardi, appunto, il più cattolico del governo Monti, molto addentro alle cose della Chiesa Apostolica Romana. E c’era l’ex presidente delle Acli, acronimo dell’Associazione che riunisce i lavoratori cattolici. E c’era una frangia importante di Comunione e liberazione. L’Udc più le Acli più la Comunità di Sant’Egidio, più Cl, il tutto con l’appoggio esplicito del Vaticano. Ma nell’Agenda Monti, oltre alla questione fiscale e a quella della patrimoniale, a quella del debito pubblico e a quella dell’Europa monetaria, c’è forse qualche accenno a quelle questioni «eticamente sensibili» che hanno diviso in questi anni partiti e schieramenti, gruppi e singoli individui?
Una connotazione così fortemente cattolica, che qualche maligno arriverebbe a definire addirittura vagamente clericale, o comunque, in modo meno maligno, molto attenta a ciò che si muove oltre Tevere, creerebbe infatti qualche problema spinoso, almeno nella prospettiva di una possibile alleanza con il Pd se i numeri al Senato non dovessero consentire l’autosufficienza del centrosinistra. Sul testamento biologico, per esempio, le forze che si riconoscono nell’Agenda Monti e nelle sigle che si sono riunite ieri addirittura in un istituto religioso sono tutte concordi in un’osservanza stretta delle indicazioni vaticane, al pari del centrodestra peraltro? E se invece l’anima laico-liberale di questo nuovo grande Centro volesse marcare una sua autonomia? E sulla questione delle coppie di fatto eterosessuali e omosessuali, l’Agenda Monti potrà dire qualcosa oppure i suoi contenuti sono strettamente confinati al ricettario economico senza nessun intervento sui temi che in questi anni hanno rappresentato un momento di grande attrito tra laici e cattolici?
Che l’area dei neomoderati dovesse essere connotata secondo schemi molto simili a una rediviva Democrazia cristiana non era poi così scontato. Certo, c’è la comune ispirazione ai valori del Partito popolare europeo, ma sulle coppie di fatto e persino sui matrimoni gay anche nel mondo dei Popolari europei c’è molta varietà di posizioni. In Italia tutto è ovviamente più complicato. Nell’universo del Vaticano su alcune questioni dette «non negoziabili» si è poco disposti a transigere. Ed è difficile che i laici del nuovo Centro non sentano in campagna elettorale e soprattutto dopo la sua conclusione il peso di un sostegno che non potrà essere gratuito. I simboli hanno un loro significato. Anche le sacrestie ce l’hanno. Il tempo dirà se questa massiccia presenza cattolica sarà una risorsa oppure un potenziale handicap politico.
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