Protesi e siringhe a peso d’oro cade l’obbligo di ridurre i prezzi in fumo un miliardo di risparmi

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ROMA — Il Tar Lazio manda a monte la spending review sanitaria che aveva fermato la vergogna della siringa che costa in una Asl tre centesimi e in un’altra 65. E che avrebbe fatto risparmiare alle casse dello Stato un miliardo di euro. Ora tutto torna come prima, con lo stesso defibrillatore che viene acquistato a Trento a 13.500 euro e ad appena 50 chilometri di distanza, a Bolzano, 16.100. Per evitare questo balletto selvaggio dei prezzi degli stessi prodotti, spiegabile in parte, secondo l’ex ministro della Salute Fazio, «con il costo della corruzione », il precedente governo, il 15 luglio del 2011 aveva previsto, con la prima legge spending review, l’istituzione di un osservatorio prezzi. In forza di questa legge di un anno e mezzo fa, il primo luglio scorso l’Autorità  per la vigilanza sui contratti pubblici aveva pubblicato i prezzi target ai quali tutte le Regioni e le Asl d’Italia avrebbero dovuto attenersi per gli acquisti dei prodotti sanitari. Si tratta di una spesa enorme per il bilancio dello Stato, se si considera che rappresenta circa lo 0,5 % del Pil.
Il Garante aveva monitorato i prezzi di un paniere di circa mezzo migliaio di beni e servizi. Per ognuno di quei prodotti, aveva stilato una classifica dei prezzi per ordine di grandezza. Quindi aveva stabilito che il costo target doveva essere il decimo di quella graduatoria, il cosiddetto decile. Sette giorni dopo la pubblicazione di quel bollettino di costi sanitari, il governo Monti, con la seconda spending review, aveva stabilito che tutti i contratti superiori del 20 per cento al decile, avrebbero dovuto essere rinegoziati. Se entro 30 giorni la rinegoziazione non fosse stata fatta, il contratto sarebbe stato automaticamente annullato.
A questa “offensiva” del governo contro la giungla dei prezzi della sanità , hanno immediatamente risposto i fornitori, le multinazionali sanitarie, presentando una pioggia di ricorsi al Tar con la richiesta di sospendere con urgenza l’efficacia del prezziario del Garante che, a detta dei ricorrenti, li avrebbe danneggiati economicamente. Le prime istanze alla giustizia ammini-strativa, però, sono state respinte. La terza sezione del Tar Lazio, presieduta dal magistrato Giuseppe Daniele, ha ritenuto infondati i ricorsi delle spa “Sanofi Aventis” e “Chiesi Farmaceutici” con una motivazione chiara e precisa: «nel bilanciamento degli opposti interessi, appare prevalente quello pubblico ». In altre parole, i danni al bilancio dello Stato (un sovrapprezzo di circa un miliardo di euro), vengono prima di quelli, eventuali e da accertare, alle società  per azioni. La musica cambia, alla terza sezione Tar Lazio, quando le pratiche finiscono sotto il giudizio del collegio presieduto da Franco Bianchi. I ricorsi presentati dalle spa “Janssen Cilag”, “Amgen Dompè”, “Boston Scientific”, “Italfarmaco”, “Ngc Medical”, “Medtronic Italia” vengono tutti accolti. E la tabella dei prezzi target sui dispositivi medici viene sospesa. Secondo la terza sezione del giudice Bianchi che s’è espressa il 23 novembre, la tabella dei prezzi target va annullata «in quanto — si legge nell’ordinanza — non risulta l’iter logico seguito dal Garante per individuare lo specifico prezzo della categoria dei dispositivi medici». Questa motivazione ha destato perplessità  all’Autorità  di vigilanza in quanto il 6 novembre, dunque prima del pronunciamento del tribunale ammini-strativo, una norma del governo Monti aveva trasformato in legge proprio quella procedura del decile seguita dal Garante.
Per fare un esempio, il principio attivo filgrastim ha un prezzo target di 8,8, mentre quello medio riscontrato sul mercato è più del triplo, 29. Le multinazionali sanitarie hanno sempre spiegato questa giungla dei prezzi sostenendo che alcune Asl pagano a 24 mesi, e che in altre il prezzo diminuisce se aumenta la quantità  di prodotti acquistata. Il Garante aveva però dimostrato che in molti casi i prezzi aumentano aumentando la quantità  acquistata. E che l’oscillazione dei prezzi nulla aveva a che fare con i tassi di interesse che gravano sui pagamenti differiti. Che avesse ragione Fazio?


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