Primarie, parte la gara per le «quote»

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ROMA — Nella sala del gruppo del Pd alla Camera Pier Luigi Bersani fa il suo discorso di commiato ai deputati: «Vi ringrazio per quello che avete fatto». Dal fondo si leva una voce: «Te ne sei ricordato tardi!». Un po’ di brusio, poi scende nuovamente il silenzio. I parlamentari del Pd hanno l’aria sperduta di chi si sente congedato e vede allontanarsi il seggio: il 60 per cento dei presenti non tornerà  a Montecitorio.
Nel Transatlantico c’è chi trema e chi spera. Corre voce che Renzi non riuscirà  a ottenere più di dieci persone nella quota dei «garantiti», dopo un lungo incontro riservato con Vasco Errani, nei panni dell’ambasciatore di Bersani e del mediatore. Tra di loro dovrebbero esserci Realacci e Gentiloni. A Veltroni invece andrebbero 4 deputati (ma solo quelli che hanno appoggiato Bersani) e un senatore, Giorgio Tonini, che invece ha votato per il sindaco di Firenze.
Intanto, mentre il presidente dell’associazione delle vittime del 2 agosto, Paolo Bolognesi, annuncia che si presenterà  alle primarie, Chiara Geloni, direttore di Youdem, gela le speranze di Paola Concia e Roberto Giachetti, annunciando su Facebook che non sono nella quota dei nominati. Eppure per la deputata omosessuale del Pd si sono mossi in molti. Sulla Rete i gay hanno chiesto al partito di candidarla. E il presidente di Equality, Aurelio Mancuso, anche lui iscritto al Pd, lancia un appello perché venga riconfermata in nome delle sue battaglie che con la nascita del governo di centrosinistra potrebbero finalmente essere portate a compimento. Persino il presidente della Comunità  ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, l’ha chiamata per esprimerle il suo rammarico e il suo stupore. Ma non tutto è perduto, perché la questione della rappresentanza degli omosessuali nelle file del Pd è questione importante.
Giachetti, invece, ha deciso di buttarsi nelle primarie con un appello autoironico che comincia così: «Ho 51 anni, due figli…». Il deputato renziano a Roma può contare sull’aiuto del comitato Gentiloni e dei radicali. Certo, le primarie sono una sfida difficile. A Roma e nel Lazio soprattutto, dove i consiglieri regionali hanno intenzione di scendere in campo con i loro pacchetti di voti e di tessere. Già , perché i consiglieri in questione non possono ricandidarsi alla Regione per motivi di opportunità , visti i recenti scandali, e sono invece ritenuti idonei per il Parlamento.
Anche nel resto dell’Italia la situazione è tutt’altro che rosea per chi vorrà  tentare le primarie, perché quasi dappertutto si presenteranno i segretari regionali e provinciali, che hanno dalla loro la macchina dell’apparato. L’altro ieri Piero Fassino in Direzione aveva messo in guardia il Pd da questa deriva: «Non voglio dire che uno debba fare come i segretari di federazione dei miei tempi, che si dedicavano per intero al loro lavoro, ma…». Quel «ma» è caduto nel vuoto. Alla Camera e al Senato, nella prossima legislatura, vi saranno molti «apparatchik» del Pd.
Anche chi ha avuto la deroga dovrà  affrontare le primarie, a meno che non gli venga affidato il posto di capolista: in questo caso entrerà  tra i «garantiti». Anna Finocchiaro si dice pronta alla sfida. Rosy Bindi pensa a dove candidarsi perché nella sua Toscana a prevalenza renziana è difficile che la spunti. Franco Marini è il più tranquillo di tutti e spiega: «Mi ricandido perché credo di poter aiutare il Pd a restare sulla buona strada. Un partito riformista in Italia deve avere una significativa presenza della cultura cattolica sociale, altrimenti perde la sua capacità  di presa, e io ho l’ambizione di avere ancora un ruolo importante su questo fronte».


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