Primarie, il nuovo round Il segretario serra le file dopo la mossa del premier
Già , per quanto tutti, dal leader in giù, sottolineino di provare grande «rispetto» per il presidente del Consiglio e ribadiscano di non volere andare allo «scontro» con lui, quello che dice senza troppi peli sulla lingua Anna Finocchiaro a Largo del Nazareno lo pensano tutti: «Ormai Monti è un avversario politico». E Bersani rilancia: «Monti si illude che siccome gli abbiamo votato la fiducia per un anno gliela voteremo anche dopo le elezioni».
La campagna elettorale del Partito democratico sarà corretta: niente colpi bassi, «non è nel nostro stile», osserva Bersani. Ma lo stesso segretario non rinuncerà a dire tutto quello che «non è stato fatto» e a indicare i punti deboli dell’agenda Monti. Perché, insiste il segretario, «il cambiamento ancora non c’è e molto c’è da fare». Per il resto, Bersani ribadisce la sua «disponibilità » a una «convergenza» con le forze moderate, a cui non si sente «alternativo», ma ritiene che debbano essere proprio queste forze a chiarire quale rapporto intendano avere con il Pd che, ricorda il segretario con un pizzico d’orgoglio, «è il partito più grande».
Insomma, non sta ai Democrat che sono «l’unico punto di riferimento saldo del Paese», tanto più dopo che Monti ha dismesso gli abiti del tecnico, a doversi misurare con il nascente movimento centrista: semmai, è l’esatto contrario, visto che le liste ispirate al premier non saranno mai in grado di ottenere una maggioranza autosufficiente. Il centrosinistra, invece, otterrà il premio alla Camera e secondo gli ultimi sondaggi potrà contare su 170 parlamentari al Senato. Il che significa che avrà la maggioranza anche a Palazzo Madama. Del resto, Bersani è convinto che non vi sarà «un esodo» di Democrat verso Monti. Né per quel che concerne la classe dirigente del partito, né per quel che riguarda gli elettori, anche se ovvio che qualcuno se ne andrà e qualche altro voterà le liste del presidente del Consiglio.
Bersani, comunque, non vuole farsi spiazzare dalle evoluzioni della politica e dalle conseguenze dell’operazione Monti. È anche questa la ragione che spinge il segretario ad anticipare i tempi della sua campagna elettorale, che partirà già oggi, quando tutta Italia sarà tappezzata di manifesti che ritraggono Bersani accanto alla scritta: «L’Italia giusta». Il Pd ha deciso di dispiegare tutte le sue forze per l’appuntamento del 24 e 25 febbraio: verranno coinvolti migliaia e migliaia di volontari e verrà fatto un grande uso del web.
Intanto tutto è pronto per le primarie che si terranno oggi e domani, benché non si siano placate le tensioni per il fatto che le liste degli iscritti e degli elettori delle primarie del 25 novembre siano state distribuite solo ad alcuni, mentre altri, come Roberto Giachetti, non hanno potuto accedere a quegli elenchi. E c’è un’altra polemica, ancora sotto traccia, ma prossima a scoppiare: quella dei «giovani turchi». Tutta gente come Matteo Orfini, Andrea Orlando e Stefano Fassina, che si è buttata nell’agone delle primarie pur sapendo che chi perde non avrà la rete di protezione del listino e che mal sopporta l’idea che alcuni parlamentari rientrino invece nella quota dei garantiti. Un ragionamento non dissimile da quello che fa Matteo Renzi, secondo il quale «i parlamentari devono scendere in campo e conquistare voti alle primarie, mentre il listino deve essere riservato ai giovani e a chi non è mai stato nei palazzi della politica romana». E allora chissà che cosa penseranno i giovani turchi e il sindaco di Firenze del fatto che gli alleati Tabacci e Donadi hanno deciso di candidare nel Lazio Francesco Rutelli.
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