Presidente Gangnam Style ecco la nuova regina di Seul
SEUL. Gangnam Style? In Corea del Sud, culla del tormentone K-Pop, è un manifesto politico ballato dagli anziani. Quando Psy lo ha messo su YouTube, mai avrebbe immaginato che la sua psichedelica denuncia contro la «vita vuota» dei giovani che popolano il quartiere più trendy di Seul, sarebbe stata adottata quale inno dei nostalgici che rimpiangono un regime travolto dalla storia. Invece è successo e il capolavoro della propaganda, sfruttare il nuovo per sdoganare il vecchio, ha una regista che si appresta a diventare la prima donna presidente di una delle nazioni più maschiliste del mondo (in classifica è tra Emirati Arabi e Kuwait). Lei è Park Geun-hye, 60 anni, leader dei conservatori del partito Saenuri, e per riuscire nell’impresa di vincere le elezioni di domani ha bisogno davvero che passato e futuro si fondano nel più assordante e indistinguibile caos.
Soprannominata la “lady di ferro della Repubblica di Samsung” è infatti un personaggio che appartiene già alla storia. Primogenita dell’ex dittatore Park Chung-hee, che dopo un colpo di Stato militare impose a Seul un regime brutale per diciotto anni, ha pagato al potere un prezzo che avrebbe schiantato una sequoia.
Sua madre è stata uccisa nel 1974, durante un comizio che celebrava il giorno dell’indipendenza. Il padre è stato assassinato cinque anni più tardi, mentre cenava con il capo dei suoi servizi segreti. Narra la leggenda che lei, orfana di Stato a 27 anni, si sia limitata a chiedere: «I confini con il Nord sono al sicuro?». Da allora è stata inghiottita dal nulla per quasi vent’anni, ma i sudcoreani non si sono dimenticati di questa «signora con un fegato da uomo». Dal 1998 l’hanno rieletta quattro volte in parlamento e per un soffio, cinque anni fa, non era riuscita a soffiare la candidatura presidenziale a Lee Myung-bak, leader ora travolto dagli scandali di parentopoli. La sua mitologia di figlia della dittatura, impegnata a riscalare il potere in modo democratico, si è arricchita nel 2006, quando un ex dissidente torturato dal padre uscì dalla folla e le sfregiò il viso con un taglierino. Dieci centimetri di squarcio, mostrato in diretta tivù. «Da allora – dice oggi quella che i fan chiamano la Merkel di Seul – ho deciso di dedicare la mia vita a rimarginare le ferite del Paese».
Per conquistare il potere della quarta economia dell’Oriente con i voti, anziché con le armi, ha accettato di chiedere «profondamente scusa a tutte le vittime dei diritti umani da parte degli abusi delle autorità ». «Irragionevole cedimento », secondo i conservatori che la sostengono. «Ipocrisia fuori tempo massimo», per i democratici
che cercano di sbarrarle il passo sventolando lo spettro incombente dell’autoritarismo. Ma è proprio questo bisogno confuso di ricordo e di oblio, di verità storica e di perdono, che rischiava di imprigionare nel passato la figlia del dittatore convertita alla democrazia. Di qui la pazza idea del Gangnam Style, diventata colonna sonora di comizi acchiappagiovani che riuniscono invece masse di anziani che Psy non l’hanno mai sentito nominare. Il risultato è da cineteca. Ragazzine in pantaloni corti e stivali di pelo si scatenano sul palco, invitano la folla dei reduci di guerra a cavalcare incrociando le mani e quando i veterani anti-Pyongyang sono a un passo dal collasso, appare finalmente la figlia del vecchio dittatore. Completo nocciola e taglio militare, abbozza sorridente qualche mossa, tra lo stupore generale entra nella contemporaneità e, calato il silenzio, passa imperturbabile a spiegare come intende trascinarenelfuturol’undicesima potenza del pianeta. Un’immagine indimenticabile, che rivaleggia solo con quella del “giovane leader” nordcoreano, Kim Jong-un, seriamente impegnato sulle montagne russe in divisa da “maresciallo supremo”. In Corea del Sud però nessuno si scompone e mentre “l’ambasciatore Psy” vola negli Usa a scusarsi con Barack Obama per il rap in cui sognava di «ammazzare quei fottuti americani», la nuova leader che ha scritto la storia due volte si prepara a governare per i prossimi cinque anni. A contendere il potere alla destra, un’altra icona dei drammi del passato. I democratici candidano infatti Moon Jae-in, 59 anni, avvocato per i diritti umani ed ex dissidente, sopravvissuto alle prigioni del padre della sua rivale. E se Park Geun-hye cela lo shock dei genitori uccisi, Moon Jae-in sconta la colpa dell’ex presidente Roh Moo-Hyun, primo democratico al potere a Seul, morto suicida per la vergogna degli scandali di famiglia. Moon è stato il suo braccio destro e più che «il tragico salto nel vuoto di un leader perbene» paga l’inizio della crisi del “sistema- Samsung”, in cui i grandi “cheobol” dominano il Paese ponendosi al di sopra della legge. Secondo gli ultimi sondaggi l’unione democratica è pochi punti dietro i conservatori e a decidere le incertissime presidenziali di domani, con i voti di campagne impoverite e piccoli imprenditori sul lastrico, saranno infine proprio i giovani metropolitani. Tra la gelida Park e l’accorato Moon, la Corea del Sud sceglie però prima di tutto il leader per sfuggire all’accerchiamento di ostile di Giappone, Cina e Corea del Nord. Si può così perdonare la tentazione di cancellare il passato e di anestetizzarsi con l’euforia-pop di Psy. Dall’Asia spira il vento nuovo della politica vecchia: is Gangnam Vote.
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