Più misure alternative al carcere, ma Italia resta sotto la media Ue
ROMA – Nel 2011 le misure alternative alla detenzione sono aumentate rispetto agli anni immediatamente precedenti: sono infatti 22.423 i soggetti in esecuzione penale esterna al 31 dicembre dello scorso (erano 5.933 nel 2006 e 10.220 nel 2008), un numero di non molto superiore della metà dei condannati reclusi (38.023 al 31 dicembre 2011). Negli altri paesi europei, invece, il numero di beneficiari di misure alternative è doppio rispetto ai condannati presenti negli Istituti penitenziari. Lo dice il rapporto Istat-Dap “I detenuti nelle carceri italiane”, presentato oggi a Roma. Secondo l’indagine l’Italia pur avendo un tasso di detenzione più basso di altri paesi europei, ricorre meno alle misure alternative al carcere: nel 2010 in Italia vi erano 30,5 soggetti in misura alternativa per 100.000 abitanti contro i 199,2 (per 100.000 abitanti) della media europea. In Francia nel 2010, a fronte di 59.856 detenuti in carcere, i soggetti in esecuzione penale esterna erano 173.022 e nel Regno Unito, a fronte di 81.627 detenuti, i soggetti in misura alternativa sono 237.507. In Italia tali valori nel 2010 erano, rispettivamente, 67.961 e 18.435. Nel 2011 i valori sono 66.897 e 22.423 con un tasso pari al 37,5 per 100.000 abitanti. Ma il nostro paese non è stato sempre un paese a basso utilizzo di misure alternative al carcere. Secondo l’indagine c’è stata una notevole flessione nel 2007 in concomitanza dell’indulto e una successiva lenta ripresa. Prima del 2007, invece, e in particolare dal 1997 al 2006, le misure alternative al carcere erano decisamente elevate, oltrepassando le 50.000 unità nel 2004; dal 1976, anno di inizio delle misure alternative (la legge che le governa è del 1975), fino al 1996 vi era stata una lenta ma continua espansione dalle circa 4.000 alle 18.000 unità , dovuta alle modifiche delle leggi attinenti le misure alternative al carcere. Tuttavia, l’aumento dei soggetti in esecuzione penale esterna non è andata di pari passo con la diminuzione dei reclusi, negli stessi anni, infatti, si era assistito anche all’aumento delle persone detenute in carcere.
“In Italia c’è una selezione dei detenuti per classi sociali: la maggior parte sono tossicodipendenti, immigrati e persone con problemi psichici – sottolinea Francesco Cascini, direttore dell’Ufficio ispettivo e di controllo del Dap – . Il problema nel nostro paese è che manca la probation, che intercetta il crimine e va a indagare il contesto dove avviene il reato”. Secondo il rapporto i reati più frequenti commessi dai detenuti sono la violazione della normativa sugli stupefacenti (41%), la rapina (25,8%), il furto (19,6%), la ricettazione (17,2%), le lesioni personali (15,6%), la violazione della legge sul possesso delle armi (15,1%), gli omicidi volontari (13,8%). Seguono la resistenza a pubblico ufficiale (11,2%) e le estorsioni (11,1%), la violenza privata e la minaccia (10,5%), i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso (9,7%), i reati contro l’amministrazione della giustizia (9,5%), la falsità in atti e persone (5,9%), la violenza sessuale (5,4%). Per quanto riguarda la violazione di cui al Testo Unico sugli stupefacenti, la maggior parte di essi consegue all’imputazione di cui all’art. 73 (produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti). A questo tipo di violazioni risulta per lo più associato il fenomeno della tossicodipendenza in carcere, in quanto l’uso di sostanze stupefacenti risulta correlato positivamente con la commissione di reati di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti (art. 73 della legge n. 309 del 1990). Dai dati in possesso dell’Amministrazione Penitenziaria emerge che gli ingressi di detenuti tossicodipendenti nel corso del 2011 sono stati pari a 22.432, mentre i detenuti tossicodipendenti presenti alla data del 31 dicembre 2011 sono pari a 16.364, il 24,5% del totale.
In aumento i detenuti stranieri che erano pari al 15% del totale nel 1991, sono saliti al 29% nel 2000 per arrivare al 36,1% nel 2011. La crescita è stata “ingente e ha caratterizzato soprattutto gli anni ’90, durante i quali gli stranieri nelle carceri si sono triplicati a fronte di aumenti più contenuti per i detenuti italiani” si legge nel rapporto. Inoltre gli stranieri usufruiscono in misura minore degli arresti domiciliari, così come delle misure alternative al carcere rispetto agli italiani: considerando il totale dei detenuti e dei soggetti in esecuzione penale esterna, solo il 12,7% degli stranieri usufruisce delle misure alternative al carcere contro il 30,7% degli italiani, dal momento che spesso non possiedono i requisiti per poterle chiedere (un ambiente familiare idoneo, un’attività lavorativa che permetta di sostenersi autonomamente fuori dal carcere, un alloggio, ecc.) e commettono con più frequenza quei reati per cui è previsto il carcere (basti pensare al reato di immigrazione clandestina effettuato dal 9,6% degli stranieri e dallo 0,3% degli italiani).
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