Pioggia di cause civili contro l’Ilva

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TARANTO — In un contrappasso che si fa metafora, il cimitero chiede i danni all’Ilva. La struttura di San Brunone, a poca distanza dallo stabilimento, da anni continua a tinteggiare le cappelle di rosa per evitare che si sporchino del rosso dei minerali che l’azienda accumula in montagne alte decine di metri. «Perché almeno i morti — dicono — vanno tenuti puliti». E così, il cimitero si è associato a 148, tra cittadini ed enti, che hanno promosso causa civile all’Ilva spa per i danni subiti dall’inquinamento e il deprezzamento subito da abitazioni e proprietà  (per un risarcimento stimato in nove milioni di euro circa). Un numero per altro destinato a gonfiarsi. Una stima dell’associazione ambientalista Peacelink, quantifica infatti il danno complessivo alla città  e al suo ecosistema in 6 miliardi di euro, che si andrebbero a sommare ai 700 milioni già  chiesti dal Comune. Il che dà  un’idea di quale spada di Damocle gravi oggi sulla proprietà  dello stabilimento al netto degli investimenti per la tutela ambientale (3,5 miliardi) imposti dal decreto legge. Soprattutto se la richiesta dei risarcimenti dovesse assumere, come probabile, la forma della class action.
Non fosse altro perché a rendere ragionevolmente certo il riconoscimento del danno di fronte ad un tribunale civile, sono gli esiti dell’incidente probatorio già  concluso nell’inchiesta penale che ha “cristallizzato” come prova il nesso tra danno alla salute e all’ambiente e le emissioni di fumi e polveri nocive per responsabilità  dell’Ilva.
Del resto, che l’azienda sia decisamente preoccupata è dimostrato dalla decisione dei Riva, nella prima udienza contro i 149, di citare in giudizio quali potenziali corresponsabili del danno anche gli enti locali, a partire dalla Provincia (che a sua volta però ha risposto con una contro citazione dell’Ilva per lite temeraria). Il che, tuttavia, non sposta i termini della faccenda. «Chiediamo — si legge appunto nell’atto di citazione dei 149 — di condannare l’Ilva a risarcire i proprietari per il deprezzamento causato dalle polveri del parco minerali riversate quotidianamente sul rione Tamburi, per un importo complessivo pari a circa nove milioni di euro». E questo, sul presupposto fissato dalla sentenza, passata in giudicato, con la quale si condanna l’Ilva per «gettito di cose pericolose » immagazzinate nel parco minerario. «In quella sentenza — spiega l’avvocato Filippo Condemi — viene accertata la responsabilità  penale e civile dei responsabili dello spolverio continuo che ha imbrattato cose, persone ed ambiente. Che ha provocato disturbi di vista e respiratori in ragione dell’emissione di polveri. È evidente che la massiccia dose di fumi, gas e polveri che ogni giorno si rovesciano sul quartiere abbia generato una notevole riduzione del valore commerciale (oltre che strutturale) dei beni immobili di quel rione, proprio a causa della drastica riduzione dell’interesse al loro acquisto».
L’avvio del giudizio civile raddoppia la pressione giudiziaria sull’Ilva, affiancandosi al lavoro di una magistratura che appare tutt’altro che intenzionata a rallentare le sue mosse. Oggi, il Procuratore Sebastio incontrerà  il procuratore generale, Gaetano Vignola e insieme con i sostituti discuteranno il da farsi dopo il decreto legge del Governo. Appare scontato il ricorso alla Corte costituzionale per “conflitto di attribuzione”, il che doppierebbe un’analoga decisione che è pronta ad assumere anche il gup dell’inchiesta, Patrizia Todisco. Se ne saprà  di più entro giovedì, quando, di fronte al Riesame, l’Ilva potrebbe chiedere il dissequestro dello stabilimento in forza del decreto legge (oggi alla firma di Napolitano). Che per altro continua a essere al centro della polemica. Il ministro dell’Ambiente Clini si augura che non venga sollevato il conflitto per «non arrivare a uno scontro con la magistratura». Duri i Verdi e l’Idv. Grillo grida al fascismo, «Certe cose nemmeno con Mussolini…». Mentre i sindacati tornano a mettere in guardia dal danno che all’intero ciclo produttivo sta provocando il rallentamento della produzione.


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