PERCHà‰ IL DIVENIRE È UN ETERNO ERRORE
Che Dio sia la condizione del divenire significa che Dio salva il finito. La tesi di de Giovanni è appunto che l’intento di fondo di Spinoza e di Hegel è di salvare il finito. Ed egli, questo intento, lo fa proprio, ma dandogli un timbro nuovo, che insieme, a suo avviso, rende esplicito quanto nei due pensatori rimane invece velato. Semplificando il discorso molto complesso di de Giovanni si può dire che, per lui, il mondo è salvato solo da Dio, ma che il rapporto tra Dio e Mondo produce un radicale spaesamento del pensiero, che non riesce e non può riuscire a sciogliere i problemi prodotti dalla coabitazione di quei due termini. Le difficoltà e le contraddizioni a cui va incontro il rapporto finito-infinito in Hegel e Spinoza non sono quindi imputabili alla limitatezza del loro pensiero, ma sono insuperabili. De Giovanni non presuppone arbitrariamente l’esistenza dell’infinito, non ne progetta nemmeno la fondazione, né la richiede a Spinoza e a Hegel, dove, a suo avviso, Dio è il luogo dove i problemi e le contraddizioni maggiormente si addensano. L’esistenza del Dio è il contenuto di una «fede», è un «paradosso» che però avvolge ogni uomo, «la stessa vita umana».
Sennonché la fede in Dio, dicevo all’inizio, è spinta al tramonto da ciò che chiamo l’«essenza della filosofia del nostro tempo», dove il Tutto resta identificato alla totalità del visibile-finito-diveniente. De Giovanni vede l’unità sottostante all’«antico» e al «moderno» (e si tratta di millenni), ma non intende allargarla, e anzi prende le distanze dalla fede originaria, indicata nei miei scritti, che invece unisce l’intera storia dell’uomo e quindi sta al fondamento sia dell’accettazione sia del rifiuto di Dio. Mi riferisco all’onnipresente fede originaria nel diventar altro delle cose.
Per de Giovanni i miei scritti concepirebbero «il pensiero dell’Occidente come preso in un unico solenne errore, che è un estremo, iperlogico (e a suo modo, certo, geniale) invito a escludere il significato delle differenze», alle quali, peraltro, non si può rinunciare (p. 117). Credo che egli si riferisca qui alle «differenze» intese come differenti modi di errare. Ma nemmeno i miei scritti sono disposti a rinunciare a tali differenze. Solo che esse hanno questo di identico, di essere errori. E avere in comune l’esser errori non cancella i differenti modi dell’errare — come, per i colori, avere in comune l’esser colori non è una monocromia, non cancella il loro differire l’uno dall’altro. La vita umana è il luogo in cui si manifesta ciò che vi è di identico in ogni errore: il suo essersi separato dalla verità , presentandosi come quella fede nel diventar altro delle cose, che, anche nelle sue forme più «innocenti» nuoce, perché esso è lo squartamento dove le cose si strappano da sé stesse, ossia è la radice di ogni violenza. L’Errore è insieme l’Orrore — vado dicendo.
De Giovanni mi rivolge un elogio che mi piacerebbe meritare e di cui lo ringrazio («Sono convinto che la profondità speculativa di Severino sia assai alta e pressoché unica oggi in Europa»), ma aggiunge che «la pedagogia che nasce da questa profondità è muta, perché riduce la dialettica interna alla storia della metafisica alla monocroma ripetizione dell’errore». Chiedo a de Giovanni di indicarmi, per uscire dalla supposta monocromia, da un lato un solo punto, nella storia dell’uomo, dove non si creda nell’esistenza della trasformazione delle cose — almeno di quelle mondane, e dall’altro lato un solo errore che non presupponga questa fede. Poi, se vorrà , potremo discutere il punto decisivo, ossia i motivi per i quali affermo che tale fede, nonostante la sua apparente plausibilità ed «evidenza» è l’Errore più profondo a cui l’uomo è stato destinato (ma dal quale l’Inconscio più profondo dell’uomo è già da sempre libero).
Related Articles
L’assillo inascoltato di Pietro Ingrao
Saggi. «Crisi e riforma del parlamento» di Pietro Ingrao per Ediesse. Pubblicati i saggi del dirigente comunista scritti nella metà degli anni Ottanta sulla necessaria innovazione del sistema istituzionale
Nicolas Fargues, la scoperta della discontinuità
Confesso che non amo il modo imperioso di introdurre il lettore alla storia. Nemmeno quello tranchant. Per millenni gli scrittori si sono ingegnati ed esercitati a porgere le narrazioni nei più svariati modi ma sempre in cerca di una condivisione, con cura, attenzione o divertimento quando non delicatezza.
Addio René Girard, l’ultimo degli umanisti
È morto a 91 anni lo studioso René Girard che rilesse i miti fondando la teoria del capro espiatorio