Pensioni e ammortizzatori i lavoratori nel labirinto delle novità  Monti-Fornero

by Sergio Segio | 16 Dicembre 2012 8:16

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ROMA â€” Cambiano gli ammortizzatori sociali e cambiano le pensioni: dal primo gennaio 2013 debuttano le due riforme Fornero che tanto hanno fatto discutere nei mesi passati. La partenza sarà  lenta e graduale, i risultati e le novità  – nei prossimi mesi ancora ridotti. Ma la miccia è stata accesa e nel giro di qualche anno assisteremo al grande balzo dell’età  pensionabile e alla rivoluzione del welfare così come l’ha chiesta l’Europa e così come l’hanno impostata il governo Monti e – per alcuni aspetti previdenziali quello Berlusconi.
ARRIVA L’ASPI
A Capodanno – nonostante i tentativi della maggioranza di rinviarla, causa crisi, al 2014 – debutta l’Aspi (Assicurazione sociale per l’impiego): il nuovo ammortizzatore destinato a diventare l’erede unico dei sussidi di disoccupazione e mobilità . Ma mentre il primo “vecchio” assegno scompare da subito, la ben più lunga mobilità  andrà  a ridursi gradualmente, sopravvivendo di fatto fino alla fine del 2016. L’Aspi allarga la platea degli aventi diritto ad un sostegno post-licenziamento o a scadenza del contratto (copre tutti i lavoratori del privato, cooperative e apprendisti compresi, e quelli pubblici con contratto a termine), garantisce il 75 per cento dello stipendio medio (ma la quota sarà  ridotto del 15 dopo i primi sei mesi) per 12 mesi agli under 50 e per 18 mesi agli over 55 (chi ha fra i 50 e o 54 anni di età  resterà  fermo ai 12 mesi). Il provvedimento è finanziato con un’aliquota dell’1,3 per cento sulla retribuzione versata dalle aziende (1,4 se il contratto non è a tempo indeterminato). Sempre dal primo gennaio debutta anche la mini- Aspi, una indennità  ridotta destinata a chi, nel precedente biennio, non può contare sul versamento di 52 settimane di contributi.
ETà€ PENSIONABILE
Fino alla fine di quest’anno andranno in pensione (con le regole vecchie) i lavoratori che hanno maturato i requisiti alla fine del 2011, ma che hanno dovuto attendere un anno a causa della “finestra”. Dal primo gennaio entrano invece in vigore i nuovi requisiti: i lavoratori dipendenti avranno diritto all’assegno solo seguendo i criteri impostati dal ministro Fornero (per gli autonomi invece lo strascico della finestra arriverà  fino al prossimo giugno). Di fatto si otterrà  la pensione di vecchiaia solo a 62 anni e tre mesi se donne (63 e nove mesi se autonome) e a 66 e tre mesi se uomini. Il salto è graduale, ma arriva lontano. Le donne del privato, fino a quest’anno, andavano in pensione a 60 anni (più uno di finestra): nel 2018 – quando sarà  raggiunta la parità  dei sessi riguardo all’assegno – tutti, maschi e femmine, potranno lasciare il lavoro solo a 66 anni e 7 mesi. Da gennaio aumenta anche la soglia richiesta per accedere all’assegno di anzianità  (destinato a scomparire): 42 anni e 5 mesi per gli uomini, 41 e 5 mesi per le donne.
Non solo, a gennaio parte la corsa destinata a superare il limite dei 70 anni come età  massima lavorativa: già  da gennaio il lavoratore che lo desidera potrà  restare in azienda fino a 70 anni e tre mesi, con qualche problema – si presume – per i giovani che cercano lavoro e per l’impresa stessa. Il tetto aumenterà  fino ai 75 anni e tre mesi fissati per il 2065.
I COEFFICIENTI
Da Capodanno entrano in vigore anche i nuovi coefficienti utilizzati per calcolare l’importo dell’assegno (terranno conto della aumentata aspettativa di vita): si ridurranno del 2-3 per cento rispetto a quelli applicati fra il 2008 e il 2009. Il risultato è che per ottenere lo stesso ammontare bisognerà  lavorare un anno in più. Se infatti negli ultimi cinque anni il coefficiente di trasformazione del montante contributivo per chi andava in pensione a 64 anni era di 5,432, dal 2013 per avere un coefficiente di calcolo simile bisognerà  aspettare i 65 anni (5,435).

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