Pdl, la destra in fermento La Russa se ne va e fonda «Centrodestra nazionale»

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È di ieri l’ufficializzazione della nascita di «Centrodestra nazionale», la creatura più volte annunciata di Ignazio la Russa che si stacca dal Pdl per correre comunque in apparentamento alle elezioni. Ne faranno parte probabilmente Meloni e Crosetto, forse Storace, sicuramente non Gasparri, né Alemanno né Matteoli, né Ronchi e Urso a riprova che l’area degli ex An ormai non esiste più.
L’unico punto fermo, allo stato, è che il Cavaliere va avanti come un treno per rafforzare la propria candidatura visto che, come dice Paolo Bonaiuti «la sua discesa in campo ha già  fatto crescere il Pdl», che secondo gli ultimi sondaggi appena sfornati dalla Ghisleri avrebbe raggiunto il 17,6%, con una salita del 3% in una settimana. Per questo la strategia del battere a tappeto tutti gli spazi televisivi possibili viene perseguita con precisione certosina: ieri Berlusconi si è fatto intervistare da Quinta Colonna, a Retequattro, oggi sarà  a Porta a Porta, e sta addirittura trattando per fare da ospite d’onore a «Servizio Pubblico» di Santoro. Ieri i primi contatti col vecchio nemico, la richiesta di un trattamento «onesto», l’ipotesi della partecipazione alla puntata del 3 o del 10 gennaio.
Tutto questo perché, sempre più, l’impressione del premier è che alla fine Mario Monti non scenderà  in campo direttamente: «Una sua lista autonoma con i centristi ad oggi non va oltre il 10%», alla fine dicono i suoi potrebbe fare «un appello, un decalogo, una dichiarazione di intenti…». E dunque non si vede perché, lui, dovrebbe farsi da parte. Ragionamento ribadito anche a Maroni, che ieri ha incontrato ad Arcore assieme ad Alfano: l’impressione tra i suoi fedelissimi è che si siano «fatti passi avanti», che l’importanza per la Lega di vincere in Lombardia con Maroni candidato sia talmente grande che, alla fine, potrà  essere anche accettata la candidatura a premier del Cavaliere. Certo, ci sarà  da convincere Albertini a fare un passo indietro, come da smussare le resistenze della base leghista che ieri Maroni ha ribadito: «Ma io, in fondo, sarei più un leader della coalizione, la legge non richiede per forza un candidato premier, non dobbiamo bloccarci sulle formule…», ha insistito Berlusconi.
Si vedrà  nei prossimi giorni, un nuovo incontro è previsto venerdì. Oggi invece l’ex premier incontrerà  la Meloni e Crosetto, dopo aver visto ieri a lungo La Russa. Che, in un clima «di grande collaborazione» gli ha confermato che se ne andrà  dal Pdl, forte di una trentina di parlamentari e con l’ambizione di conquistare «almeno il 4%, che è ampiamente alla nostra portata». Soprattutto se, come sembra, «nelle prossime ore Giorgia e Guido si uniranno a noi per costruire assieme il nostro partito, perché non c’è nulla di già  stabilito, nemmeno il nome, vogliamo lavorare insieme per dare visibilità  e rappresentanza ai nostri valori».
Insomma, adesso la parola è a Meloni e Crosetto, che nutrono ancora qualche incertezza. Mentre Gasparri rompe quel sodalizio durato decenni con La Russa e dice che no, lui resterà  nel Pdl, il partito per la cui unità  si è battuto fin dal primo momento. E Storace, alla finestra, attende: «Vedrò Ignazio, certo non è che mi sono fatto anni di traversata nel deserto per sciogliermi in un’altra cosa così, in poche ore…».
Per una scomposizione che comunque rappresenta l’ennesimo trauma per un partito sull’ottovolante, anche se Berlusconi ufficialmente la benedice perché «con il Porcellum diversificando l’offerta, possiamo prendere più voti», c’è invece da registrare la tenuta dell’altra ala del partito, quella moderata e filomontiana.
Da Quagliariello ad Alemanno, da Cicchitto a Sacconi, tutti assicurano che il Pdl resterà  unito, qualunque cosa accada, che le eventuali sirene di una lista Monti non saranno ascoltate a meno che non si rivolgano a tutto il partito: «Monti non coglierà  di fiore in fiore — assicurano —. Possiamo battere la sinistra solo se uniamo tutto il centrodestra, altrimenti non ha senso lasciare il nostro partito, che ha chance di superare il 20%, per un’avventura così».
E d’altronde anche tra i fedelissimi di Berlusconi c’è chi come Galan vedrebbe con favore la discesa in campo di Monti, chi come la Santanché la accoglierebbe se servisse «per unire tutto il centrodestra», e insomma si cerca di parlare un’unica lingua. Che poi, si sa bene «alla fine sarà  quella di Berlusconi — dice un ex ministro —. Come sempre, da sempre».


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