Patrimoniale? Ecco chi rischia di più

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ROMA — Alla base di tutto c’è una tabellina, pubblicata nell’ultimo rapporto della Corte dei conti sulla finanza pubblica. È titolata «Aliquote implicite di tassazione Italia-Ue» e ci dice che l’Italia ha le tasse più alte d’Europa sul lavoro, il 42,6% contro una media del 38,1%, è seconda per il carico fiscale sulle imprese, con il 27,4% a fronte del 20,6% medio in Europa, e addirittura al quindicesimo posto, quindi tra gli ultimi, per il livello delle tasse sui consumi, il 16,8% effettivo contro il 19,2%. Numeri che denunciano uno squilibrio enorme, e che spiegano perfettamente la scelta di politica fiscale contenuta nell’agenda Monti.
«Occorre un impegno di legislatura, non appena le condizioni generali lo consentiranno a ridurre il carico fiscale complessivo, dando la precedenza alla riduzione del carico gravante su lavoro e impresa, anche trasferendolo sui grandi patrimoni e sui consumi» si legge nel programma di Monti, che ricalca perfettamente, su questo punto ma anche su tanti altri come la detassazione del reddito da lavoro per le donne, una proposta dei senatori «renziani» del Pd, Enrico Morando e Pietro Ichino, quest’ultimo appena uscito dal partito.
Una ricetta che non sembra però dispiacere a Pier Luigi Bersani, che giusto ieri diceva di non aver trovato «cose sconvolgenti» nell’agenda Monti e che in ogni caso «l’equità » è anche uno dei cardini del suo programma. Ma che terrorizza letteralmente il Pdl, almeno per la lettura che ne danno i suoi leader. Per Angelino Alfano non ci sono dubbi. «Solo tre certezze: Imu, patrimoniale e aumento dell’Iva» sentenzia il segretario via Twitter.
A sentire i suoi ispiratori, però, Monti punta ad altri obiettivi. «La patrimoniale c’è già  ed è l’Imu, che va confermata e magari va distribuita meglio. Quanto ai consumi non è questione di aliquote, ma di recuperare l’enorme evasione fiscale che c’è dietro» spiega Morando. Il fatto è che prima dell’Imu l’Italia era il Paese dove in Europa, oltre a pagare le imposte più alte sul reddito, si pagavano le tasse più basse sui patrimoni. Dove i lavoratori dipendenti pagavano più dei «rentier». Con l’Imu, ma anche con la tassazione degli immobili detenuti all’estero, con l’imposta di bollo sui conti correnti bancari, con la stessa Tobin Tax sulle transazioni finanziarie, tutte introdotte dal governo Monti, però, le cose sono molto cambiate.
L’Italia è passata dall’ultimo al secondo posto in Europa, dopo la Francia, come livello effettivo di imposizione sui patrimoni. Tanto oltre non si può andare. Ma lasciando invariato il gettito Imu complessivo si può alleggerire la tassazione sui redditi più bassi, oppure su situazioni specifiche ma largamente diffuse, come gli immobili concessi in comodato d’uso dai genitori ai figli che il fisco oggi considera sempre come «seconde case». Compensando la riduzione con un aumento dell’Imu sui patrimoni immobiliari più consistenti, ed accelerando al tempo stesso la creazione del nuovo catasto degli immobili, con nuove rendite che rispecchino in maniera più onesta ed omogenea i reali valori di mercato, che oggi sono palesemente sperequati e spesso a sfavore dei più poveri, visto che nelle grandi città , in molti casi, i proprietari di un appartamento in un palazzone di periferia pagano più di chi vive nelle case del centro storico che a prezzi di mercato valgono dieci volte tanto.
Questione di equità , come ripete spesso Monti nella sua Agenda di governo. La stessa che lo spinge a sottolineare l’esigenza di una tassazione più incisiva dei consumi. Non necessariamente con un aumento dell’aliquota ordinaria, già  alta e destinata a salire ancora a luglio, dal 21% al 22%, proiettandoci al secondo posto in assoluto in Europa, dopo Svezia, Danimarca e Ungheria, ben lontani da Francia (19,6%) e Germania (19%). Il fatto è che in Italia l’evasione dell’Iva è altissima e l’imposta effettiva gravante sui consumi è molto bassa, come dimostra sempre la tabellina della Corte dei conti che ha ispirato prima Ichino e Morando e adesso Monti.
Secondo l’Agenzia delle Entrate e la Corte dei conti, si evade sistematicamente, ogni anno, il 30% dell’Iva dovuta. All’appello, considerato il volume dei consumi ed il gettito relativo, mancano quasi 40 miliardi l’anno di Iva. Ed in attesa che la revisione ed il taglio della spesa producano effetti e creino margini nel bilancio pubblico, sono proprio quei 40 miliardi il tesoretto da aggredire ed utilizzare per cominciare a ridurre le tasse sul lavoro dipendente e sulle imprese. Per questo l’agenda Monti insiste molto sulla necessità  di non mollare, anzi di intensificare, la lotta contro l’evasione. Con «meccanismi di misurazione della ricchezza oggettiva», quindi oltre la strada tracciata dal redditometro, ma anche con interventi specifici sul settore del commercio e dei servizi. Come i nuovi meccanismi promessi da Monti nella sua Agenda per aumentare la tracciabilità  dei pagamenti.


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