Palestina, la risposta di Israele “Tremila nuove case per i coloni”
BEIRUT — Il governo israeliano ha risposto ieri al voto delle Nazioni Unite che hanno riconosciuto l’esistenza di fatto dello Stato palestinese, seppure nel ridotto ruolo di “osservatore”, ordinando la costruzione di tremila nuove case nei Territori occupati e la progettazione di altre diverse migliaia. Una ritorsione che stride fortemente con il tentativo di Netanyahu di minimizzare l’impatto del voto dell’Assemblea Generale, e rivela, invece, la profonda frustrazione del vertice israeliano nel vedersi ancora una volta isolato dalla stragrande maggioranza della comunità mondiale, a partire da quei paesi europei che dopo aver annunciato, alla vigilia, il loro voto contrario alla richiesta palestinese, all’ultimo momento hanno cambiato opinione.
«Abbiamo perso l’Europa», è stato il grido di dolore di un anonimo funzionario dell’apparato diplomatico raccolto dal giornale Haaretz, mentre al ministero degli Esteri affluivano le notizie provenienti dall’Assemblea delle Nazioni Unite. È stata la Francia a dare il là e 17 paesi dell’Unione, seppur alcuni, come l’Italia, in maniera ondivaga, hanno seguito. Intanto alla decisione di costruire nuove case in Cisgiordania e a Gerusalemme Est replica duramente l’Anp che ricorda come ormai abbia il diritto di ricorrere alla Corte penale internazionale: «Lo faremo se aggrediti», dice il presidente Abu Mazen che aggiunge la disponibilità a riprendere i negoziati a patto che Israele fermi la «colonizzazione» Ma il vero disappunto israeliano, se così si può dire, è indirizzato verso l’astensione della Germania, considerata il principale alleato nel continente. Un’astensione che somiglia molto a una bocciatura nei confronti della linea seguita da Netanyahu sul processo di pace, ma che, secondo indiscrezioni apparse sui giornali, non è arrivata improvvisa, o inaspettata. Angela Merkel da tempo sarebbe molto contrariata dai ripetuti rifiuti opposti da Netanyahu agli inviti del cancelliere tedesco di mostrare qualche apertura sulla questione cruciale degli insediamenti. Un incontro tra i rispettivi governi previsto da tempo per la prossima settimana, potrebbe offrire al premier israeliano, che si dice in partenza per Berlino, l’occasione per chiarire.
Ma da Gerusalemme, per ora, non vengono segnali di voler ripensare una strategia che ha portato ad una innegabile sconfitta sul piano politico e diplomatico come quella patita ieri. Al contrario, la decisione di continuare a costruire nei Territori Occupati suona come una sfida alla legalità internazionale e uno schiaffo a quella parte della comunità mondiale che considera gli insediamenti un ostacolo al processo di pace. Posizione, questa, ormai osteggiata anche dagli Usa che ieri hanno definito i nuovi insediamenti «controproducenti».
Prevale, invece, nei commenti ufficiali, il vecchio tono sprezzante nei confronti dell’Assemblea delle Nazioni Unite, che, per dirla con il portavoce di Netanyahu, «somiglia tanto a un teatro dell’assurdo che una volta l’anno si riunisce e approva ridicole risoluzioni anti israeliane… «. Un motivo di disappunto, certo, ma non una “novità ” inaspettata. E soprattutto non una novità in grado di cambiare minimamente la realtà dei Territori, dove, in sostanza, l’occupazione continua.
E molto probabilmente continuerà anche il prossimo anno, se a vincere le elezioni del 22 gennaio, come sembra dai sondaggi, sarà la coalizione messa insieme da Netanyahu con Israel Beitenu, il partito del ministro egli Esteri, l’ultra nazionalista Lieberman, e le formazioni in cui si riconoscono i coloni più estremisti, quelli che fanno capo ad esponenti della destra del Likud e al leader dei cosiddetti “giovani delle colline”, Moshè Figlin. Tutti più o meno accomunati dalla loro avversione all’idea stessa che possa nascere uno Stato palestinese con tutti i crismi.
E tuttavia, un qualche contraccolpo al voto dell’Onu, s’è avvertito sulla scena politica. Tzipi Livni il cui ritorno in campo ha ricevuto una buona accoglienza, ma che non pare in condizioni di competere con il premier, ha criticato Netanyahu per la sua mancanza di iniziativa. La leader laburista Shelly Yachimovitch, ha accusato il governo di cecità di fronte a quello che succede in Medio Oriente. Ma basterà questo a riportare il processo di pace al centro del dibattito israeliano?
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