Noi pastori per scelta

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C’èancora brina sui prati e Gabriele Floriani esce dal letto sistemato nel rimorchio del furgone, si scalda un caffè, accende una sigaretta, apre il recinto mobile del gregge e lo lascia dilagare sul prato. I cani, felici, scattano come missili a riportare indietro chi va troppo lontano, poi si rimettono quieti accanto a lui, ansimando in una nube di vapore. Gabriele ha ventidue anni ed è contento, fa quello che gli piace, la giornata è fredda e magnifica, sulla Valsugana arriva il primo sole da Cismon. Tempo perfetto per la transumanza.
L’Alpe non è solo terra di vacche grasse, campanacci e formaggi coi buchi. E la transumanza non è solo roba d’Appennino. Nel Nord Italia centomila pecore si calano ogni autunno in pianura, e ventimila dal solo Trentino. Ebbene, in questo saliscendi millenario si comincia a veder qualcosa di nuovo, anzi di antico. Sono tornati i pastori
giovani; bastone, tabarro e cappellaccio dei nonni. Fino a ieri erano vecchi o stranieri. Oggi, complice la crisi, c’è una mutazione generazionale. Arrivano ragazzi speciali, che scelgono la pastorizia senza essere figli di pastori.
Gabriele non è un valligiano, abita alla periferia di Trento. Ma a dodici anni ha conosciuto un pastore di Arco e gli è andato dietro. E due anni fa, alla fine dei corsi in agraria, quando il vecchio è andato in pensione, lui gli ha comprato il gregge e si è messo in cammino. Sorride: «Se hai passione, meglio lavorare che studiare, coi tempi che corrono ». Ma transumare non è solo lavoro; è una fregola migratoria che ti consuma. Devi essere zingaro dentro. E gli zingari, si sa, non amano i recinti e non hanno vita facile con la gente.
Si parte. Il sole ha invaso il prato, la Brenta verdegrigia è in tumulto tra gli argini. La valle è chiusa da strapiombi e si riempie di belati. I cani compattano le bestie in un unico blocco di lanugine, poi la diga si rompe e la massa liquida si espande per forza di gravità . Davanti c’è un bosco, fitto come un battaglione di granatieri, ma il gregge anziché aggirare l’ostacolo, lo penetra come un fiume
in piena. Il pastore non è uomo di tangenziali e svincoli. Segue la via più breve, aderisce al paesaggio. Ne rivendica la proprietà  temporanea. Seguirlo significa darsi alla macchia. Sentirsi lontano dagli uomini anche se hai l’asfalto a pochi metri.
Veneto, Trentino e Lombardia: a novembre è tutto un andare di greggi. Li vedi sulla mappa di Giovan Battista Turra, pubblico veterinario addetto alle transumanze, nel suo quartier generale di Borgo Valsugana. Sembra una carta idrografica, e in effetti sono fiumi di animali che colano a valle. I giovani pastori trentini Turra li conosce uno per uno. Indica la base di partenza di Michele Laner, diciannove anni, in Valle dei Mocheni. Mostra le greggi di Matteo Froner, vent’anni, e di Mario Perozzo, diciannove, in discesa tra Padova e Bassano. Individua Valentina Fedele, diciannove anni, con papà  Silvano, al pascolo sul passo Cereda sotto le Pale di San Martino, e Giacomo Carbonari, venti, in viaggio verso il mare via Verona.
Claudio Fronza, ventitré anni, lo becchiamo quasi per caso in un banco di nebbia sotto Roncegno. Il suo gregge taglia la strada in uno scricchiolìo di brina, lasciando una coda di escremen-
ti. Ottocento bestie e, nel mucchio, alcuni asini addetti al trasporto degli agnelli neonati. Con Claudio trovo i suoi fratelli: Luca di ventun anni e Andrea di diciotto. Tutti reclutati, da quando Papà  Renato è finito all’ospedale. Ragazzi duri, di poche parole come tutti i pastori. Non dicono una sillaba più del necessario, e c’è da capirli. Hanno tutto contro. Lamenta Claudio: «Sempre più difficile andare in giro, troppi Comuni sono chiusi al transito ». Sembra una barzelletta, ma in Italia si multano i pastori perché le pecore fanno la cacca o i cani non hanno il guinzaglio.
C’è un decreto presidenziale del 1954 che consente ovunque il pascolo vagante, ma molti sindaci, specie se ostaggio dei cacciatori, mettono egualmente i bastoni tra le ruote. «Dicono che spaventiamo la selvaggina, lepri, fagiani, quaglie. Ma non è vero». Il veterinario conferma: «Questi poveretti dovrebbero passare il tempo a riempire formulari in ogni Comune… E le Asl pretendono di sapere i giorni esatti del passaggio, luogo per luogo… Ma come fanno a non capire che i tempi del pascolo vagante sono imprevedibili, perché tutto dipende dal clima e da mille altre cose? È la natura,
e non i vigili urbani, a regolare questo ritmo millenario».
Federico II di Svevia, il miglior monarca che l’Italia abbia avuto, mise in riga i signorotti d’Appennino che tassavano o impedivano la transumanza. Allora le pecore in Italia erano venti milioni e il re aveva capito perfettamente che in quello spostamento di animali stavano la ricchezza e l’equilibrio ambientale del Paese. Ma erano altri tempi. «A noi basterebbe che ci lasciassero in pace », brontola Claudio, poi fischia forte per far scattare il cane. È alto, magro e ha occhi chiari. Ha l’andatura caracollante dei montanari di una volta, ma quando si ferma sembra metter radici nel terreno come una quercia. Fa un freddo becco, e ha addosso solo un maglione. «Hai la morosa?» gli chiedo ancora. «Momentaneamente no», risponde secco.
Non è facile vivere con un pastore o un mandriano se non hai la loro passione. È il motivo per cui spesso in quel mondo le coppie si formano tra affini. Katia Dellagiacoma, ventidue anni di Predazzo, e Luisa Stroppa, ventiquattro anni di Telve Valsugana, entrambe malgare, hanno scelto per
compagno un allevatore. Cheyenne, mitica pastora della Val di Rabbi, si è accoppiata con uno che fa il suo mestiere. Stessa cosa per Sara Barillaro, triestina di ventuno anni dal sorriso solare e i capelli mori, rasta. Ha cominciato il mestiere in Spagna e poi s’è trovata un tedesco matto per le pecore, uno che di nome fa pure Florian. «Ci siamo incontrati perché avevamo lo stesso amore. Entrambi, se potessimo, faremmo solo quel mestiere ».
Per scendere in pianura Claudio e i suoi fratelli aspettano Fabio, che sta a Predazzo in Val di Fiemme. Giovane anche lui, diciannove anni, e di cognome Zwerger. È sul campo da due anni, ma ha già  conquistato la fiducia degli altri pastori, un mondo dove se non funzioni non entri. Lo incontriamo ai piedi del Latemar, davanti a un bosco sfolgorante di colori autunnali. Turbo, il suo cane, corre come una lepre, ma è ancora inesperto, si becca un calcio da un’asina e torna zoppo e umiliato dal padrone. «Quando ero bambino — racconta — passava il pastore e io lo adoravo. La passione è cominciata così. I miei mi hanno mandato a scuola, ma io era alle pecore che pensavo».
Fabio Dellagiacoma, il padrone del prato, è felice di quel ragazzo e quasi lo invidia. Se potesse starebbe anche lui con le pecore. «È dura ma è magnifico », dice. «Se non hai passione, come fai, quando che el fioca, quando che el piove o quando che el venta?». Il giovane Zwerger la passione ce l’ha, altroché. Gli chiedo come fa a resistere tutto l’inverno all’aperto. Lui: «Mai preso un raffreddore col freddo. Patisco più il caldo». Guarda le sue bestie che si spalmano sul prato e ride. È cambiato tutto. Ieri avevi Gavino Ledda, l’autore di che si laureava dopo essere stato pastore. Oggi hai Luca Alessandri, trentacinque anni da Tuenno in Val di Non, che prima si laurea in filosofia e poi va a fare il mandriano. «Cambiano le aspirazioni e i valori — dice dei giovani transumanti — ora speriamo che l’economia giri in loro favore, altrimenti saranno spazzati via». C’è qualcosa di nuovo sulle Alpi, conferma il forestale Gigi Casanova: «Questi ragazzi ci danno coraggio e ci aiutano a tenere il territorio in ordine. Il loro lavoro è inestimabile».


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