Netanyahu vira ancora più a destra
GERUSALEMME.Tra meno di un mese gli israeliani andranno alle urne e la campagna elettorale sta mettendo in luce due aspetti: l’ulteriore virata a destra del partito Likud e l’assenza di una opposizione di qualche peso alla maggioranza di ultradestra che Benyamin Netanyahu, dopo il 22 gennaio, costruirà per fare la guerra all’Iran (se arriverà il via libera di Barack Obama) e intensificare la colonizzazione dei territori palestinesi occupati. Non sono in grado di impensierire Netanyahu i «sette nani» del centrosinistra: dalla laburista Yechimovic alla «movimentista» Tzipi Livni fino al telegenico Yair Lapid, senza dimenticare che Kadima, quattro anni fa entrato alla Knesset come il partito più votato, è destinato a sparire.
Il primo ministro ad inizio settimana ha lanciato ufficialmente la campagna elettorale del Likud con il tono di un capo di stato maggiore. Davanti a migliaia di sostenitori ha detto che il partito in Parlamento ci deve arrivare non come una barchetta qualsiasi ma come una poderosa portaerei, grazie anche all’alleanza che ha stabilito con il partito “Yisrael Beitenu” (accusato da più parti di razzismo). Tuttavia il patto elettorale con Yisrael Beitenu non sta dando i frutti sperati. Dal listone con gli ultranazionalisti Netanyahu contava di ottenere poco sotto i 50 seggi. Invece i sondaggi, pur dandolo in ampio vantaggio su tutti gli altri partiti, gli assegnano 35-37 seggi su 120. Pochi per raggiungere la maggioranza di 61 deputati e il premier, conscio che le coalizioni diminuiscono il potere della formazione di maggioranza relativa, ha addirittura avvertito chi non voterà per il suo partito, «indebolirà » Israele in un periodo molto delicato per il Medio Oriente. Ad incitarlo l’altro giorno c’era anche la popolare cantante ebrea sefardita Sarit Haddad che gli ha dedicato la sua canzone di maggiore successo: «Sei un cannone!…Sopra a te non c’è nessuno».
Eppure il cannone Netanyahu non spara tanto lontano come vorrebbe. Un formidabile avversario lo sta sfidando con successo sul terreno dell’oltranzismo nazionalista: Naftali Bennett, il leader di HaBayit HaYehudi (Focolare ebraico), ossia lo storico partito Nazionale-religioso coalizzato con altre forze dell’estrema di destra. In poche settimane Bennett ha risucchiato a Netanyahu 6-7 seggi e ha consolidato, almeno nei sondaggi, la sua posizione di terza forza (15 seggi) alla Knesset. Anzi, dato che procede come un rullo compressore, HaBayit Ha Yehudi comincia ad insidiare i laburisti, secondi con 17-18 seggi. Bennett, 40 anni, figlio di ebrei statunitensi, è un personaggio che piace parecchio all’israeliano medio che vota a destra. E’ religioso ma non è un rabbino, sa parlare e, soprattutto, dice senza esitazioni quello che pensano molti: mai uno Stato di Palestina, mai l’evacuazione delle colonie, i soldati hanno il diritto di non rispettare gli ordini dei superiori contrari alla loro coscienza sionista (poi ha un po’ corretto il tiro), la terra (occupata dei palestinesi) appartiene tutta a Israele. Predica i «valori della famiglia», il rispetto dei fondamenti dell’Ebraismo e ha fatto capire di non avere tempo per i diritti delle minoranze: non solo gli arabi israeliani (i palestinesi con cittadinanza israeliana) ma anche gli omosessuali. Piace inoltre per il suo passato di ufficiale delle unità di elite dell’esercito, Sayeret Matkal e Maglan, incaricate di eliminare arabi dietro le «linee nemiche», e per la sua abilità di uomo d’affari: a soli 27 anni creò una security software company che ha poi venduto sei anni dopo per 145 milioni di dollari. Nel 2011 ha fondato “Yisraelim”, un network con 90mila iscritti, con l’obiettvo di diffondere on line i valori del sionismo.
Bennett è un misto di religione, modernità , tradizione, nazionalismo sfrenato che sta mettendo alle corde Netanyahu. Il premier quelle cose le pensa anche lui – i due hanno cooperato negli anni passati – ma non può dirle tutte e apertamente come il leader di HaBayit HaYehudi, perchè deve tenere conto del ruolo di fronte al mondo. Cerca di contrastarlo a colpi di colonizzazione e di attacchi ai palestinesi e ai loro sostenitori, però con risultati scadenti. Allo stesso tempo si prepara alla possibilità concreta di accogliere Bennett nella futura coalizione, dato che non avrà i numeri per escluderlo dal governo. Certo potrebbe far ricorso ancora al sostegno dello Shas ma il feeling con il più importante (ma in leggera decadenza) dei partiti religiosi non è più quello di un tempo. Lo dimostra anche la decisione del Likud di «riprendersi», nel futuro governo, i ministeri dell’interno e delle costruzioni oggi nelle mani dello Shas. Ministeri che potrebbe poi cedere agli alleati di Yisrael Beitenu o proprio al partito di Naftali Bennett. In quel caso nascerebbe una coalizione da combattimento, quel governo di guerra che piace al premier e all’ultradestra ma che sarebbe insostenibile a livello internazionale.
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