Nel “buen retiro” dei dittatori lusso e segreti in attesa di Assad

by Sergio Segio | 30 Dicembre 2012 7:14

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BARVIKHA — Anni fa, prima di stabilirsi in questa bucolica cittadina nei dintorni di Mosca in un bosco di pini, Askar Akaev, all’epoca presidente del Kirghizistan, passò una giornata alquanto stressante. Di fronte al palazzo presidenziale si era radunata una folla inferocita. Un’automobile era stata data alle fiamme. I dimostranti avevano scavalcato la recinzione e stavano forzando le porte per entrare. Un consulente per la sicurezza gli disse che il momento era arrivato. «Me ne sono andato con l’abito che avevo addosso », raccontò Akaev alla stampa nel marzo del 2005. Qualche giorno dopo era qui, in una casa di cura di proprietà  del governo russo. Ed era in buona compagnia.
Questo improbabile agglomerato di ville e negozi di lusso ospita una mezza dozzina di leader deposti con relativi familiari, e nella quiete ovattata dalla neve rappresenta un futuro possibile per il traballante presidente siriano Bashar al-Assad, ora che l’Occidente preme sulla Russia perché gli offra l’asilo. Nonostante gli insorti stringano il cerchio su Damasco, i diplomatici di Mosca (la Russia è il più importante alleato di Assad) sostengono di non essere affatto disposti a offrire un rifugio al leader assediato come passo avanti verso una soluzione del conflitto. Eppure non sarebbe la prima volta che i russi organizzano in poche ore missioni di salvataggio per i loro alleati. «I russi hanno una lunga esperienza nel portare in salvo capi di Stato», dice Mark Katz, docente di politica all’Università  George Mason, in Virginia. «Potrebbero cercare di far capire ad Assad che l’offerta è valida, ma che lo spiraglio non rimarrà  aperto a lungo». La fuga in extremis di leader assediati da folle inferocite ha risolto conflitti nell’ex Jugoslavia, in Georgia, in Kirghizistan e altrove. La Russia sembra si stia avvicinando a un compromesso che comporterebbe la partenza di Assad.
Giovedì l’inviato dell’Onu per la Siria Lakhdar Brahimi e i diplomatici russi hanno rilanciato un’iniziativa di pace finita nel nulla la scorsa estate. Non è chiaro se la Russia sia disposta ad accettare, in un eventuale nuovo accordo, il trasferimento del leader siriano qui a Barvikha. Non tutti gli esiliati politici da queste parti vivono nelle grandi ville con giardino che costeggiano la Rublà«vskij, ma molti sì. Secondo diverse fonti, una volta arrivati qui, si godono il pacifico e privilegiato “buen retiro” di cui beneficiano le vecchie élite sovietiche o degli Stati satellite. Nell’immacolato centro commerciale di lusso Barvikha sono stati aperti recentemente negozi di Gucci, Ralph Lauren e Dolce & Gabbana, meta di possibile interesse per Asma al-Assad, la moglie del presidente siriano, famosa per la sua passione per gli abiti firmati.
Borislav Milosevic, il fratello di Slobodan, l’ex presidente serbo accusato di crimini di guerra e morto nel 2006, dice che i suoi familiari stabilitisi a Barvikha se la passano più che bene. La vedova di Slobodan, Mirjana Markovic, e il figlio Marko Milosevic, vivono qui, in due ville diverse. «Viene gente a trovarli dalla Serbia», dice al telefono Borislav, parlando dell’esilio della signora Markovic: «Ha sempre amici in casa. Conduce una vita normale e rispettabile ». La signora Markovic sta compilando un libro con le interviste di suo marito; Marko si è sposato con una russa e hanno avuto una figlia. Circondata da figli e nipoti, la vedova di Milosevic a Barvikha vive un esilio senza privazioni né isolamento. Vivere qua per gli Assad non sarebbe una diminutio, dice Borislav; in particolare, accogliere Asma al-Assad e i figli secondo lui sarebbe un
«gesto umanitario».
Riguardo ad Akaev, l’ex presidente kirghiso trasferitosi qui dopo essere scampato alle proteste della cosiddetta Rivoluzione dei Tulipani, nel 2005, una commessa della concessionaria Bentley di Barvikha, Anna Shkoda, dice di vedere regolarmente il figlio di Akaev, Aidar, in giro per la cittadina. La concessionaria ha venduto alla famiglia di Akaev una Bentley Flying Spur nel loro primo anno di esilio. «Avevano molti più soldi appena arrivati», dice Anna.
Barvikha, abitata in prevalenza da “nuovi ricchi” russi, è tagliata fuori da Mosca per colpa degli ingorghi di traffico, ma per il resto è un’alternativa apprezzabile rispetto alla prospettiva di finire giustiziati sommariamente. È una distesa di viottoli in una foresta di pini, dove ogni casa è occultata da muri giganteschi e le telecamere a circuito chiuso fissano inespressive i passanti. La reputazione di Mosca come rifugio per autocrati deposti ha ricevuto nuova linfa nel 2004, quando il sindaco dell’epoca, Jurij Luzhkov, offrì il suo jet privato ad Aslan Abashidze, il leader separatista dell’Agiaria, una regione autonoma della Georgia. Il tempismo fu ottimale: le truppe georgiane stavano già  avanzando su Batumi, la capitale dell’Agiaria.
Pare che anche Abashidze abiti qui a Barvikha.
Non tutte le richieste di asilo a Mosca sono andate a buon fine. Cacciato dal potere, il leader della Ddr Erich Honecker fuggì a Mosca insieme alla moglie Margot. Presero alloggio all’ambasciata cilena, ma il presidente Boris Eltsin li rispedì al mittente. Nel 1998 il leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan (allora di tendenze comuniste) Abdullah à–calan, venne respinto dai russi prima di essere catturato dai suoi nemici turchi.
Per gli Assad il tempo forse sta per scadere. Questa settimana Sergej Lavrov, il ministro degli Esteri russo, ha escluso ogni mediazione riguardo a un eventuale esilio di Assad in un terzo Paese. «Alcuni Paesi della regione si sono rivolti a noi, affinché riferissimo ad Assad la loro offerta d’asilo », ha detto Lavrov. «Se vogliono offrirgli garanzie, facciano pure».
(© 2012 New York Times News Service- traduzione Fabio Galimberti)

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