Napolitano: non si può mandare tutto a picco
ROMA — Ha deciso di intervenire subito, nel giro di poche ore, dopo che l’ipotesi di una crisi si è brutalmente materializzata al Senato. Cioè quando il Pdl ha accompagnato il ritorno in scena di Berlusconi con l’annuncio che la gamba destra della maggioranza non avrebbe votato il decreto Sviluppo-bis, aprendo un baratro sul futuro dell’esecutivo. Una spallata pesantissima perché il passaggio dal sostegno all’astensione, sia pur bilanciata senza far venire meno il numero legale in Aula, non garantisce più a Palazzo Chigi la fiducia e dunque una decente operatività (e non a caso la reazione dei mercati è stata eloquente).
Ecco la svolta che ha messo sotto stress il sistema e allarmato Napolitano tanto da spingerlo a farsi sentire, a metà pomeriggio, vincolando tutti a un percorso concreto e non emotivo. «È necessario cooperare responsabilmente a un’ordinata, non precipitosa e non convulsa conclusione della legislatura e dell’esperienza di governo avviata nel novembre 2011». Il che per lui significa rispondere a «una considerazione, quanto più possibile obbiettiva e serena, del residuo programma di attività previsto nelle due Camere, delle scadenze istituzionali — anche nel senso di adempimenti normativi — che si concordi nel ritenere inderogabili, nonché dei tempi necessari e opportuni per una proficua preparazione del confronto elettorale». Traduciamo, volgendo in chiave di interrogativi il ragionamento del presidente: 1) che fine farà il decreto Sviluppo, intendete approvarlo o no? 2) quale destino avrà la delega fiscale? 3) e ancora, dando per scontato che sia evaporata ogni chance di riformare la legge elettorale, si vuole varare la legge di Stabilità o si pensa di ricorrere all’esercizio provvisorio di bilancio?
Sono le domande che il capo dello Stato girerà ad Angelino Alfano, atteso per le 10.30 al Quirinale, come interlocutore-chiave di un consulto che contempla pure udienze con Bersani e Casini (e probabilmente con Monti, per tirare le fila). Chiaro che non si accontenterà di risposte ambigue o di impegni condizionati alle tattiche di un partito in cerca di se stesso e di un elettorato confuso. Anche perché le ultime convulsioni della maggioranza hanno riportato il nostro Paese sotto la diffidente osservazione delle Cancellerie europee e degli gnomi della finanza. Con il drammatico pericolo che si bruci di colpo il credito faticosamente riconquistato.
Un tentativo di ridimensionare il rischio crisi, Napolitano lo ha compiuto, ieri, dopo aver sentito al telefono Alfano e Monti. Quando, per carità di patria, ha detto che «ci sono tensioni politiche pre elettorali che anche fuori d’Italia possono essere comprese senza suscitare allarmi sulla tenuta istituzionale del Paese». Anzi, ha aggiunto, «questa tenuta è fuori questione, ho il dovere di riaffermarlo pubblicamente e mi sento in grado di farlo».
Basterà questa dichiarazione a tranquillizzare i nostri partner e a riallineare all’ingiù lo spread? Dovrebbe bastare, a patto che «non si mandi a picco quello che non deve andare a picco» (espressione dello stesso capo dello Stato, usata come estremo appello) rifletta secondo logica e con il calendario in mano. La legge di Stabilità — che è la vecchia Finanziaria — andrà in aula al Senato il 18 dicembre. Considerando la ridotta operatività delle assemblee a causa delle festività , è scontato che si potrà approvarla solo a ridosso del Capodanno. Come del resto è sempre accaduto. A questo punto, se davvero il Pdl manterrà l’impegno a votare la legge di Stabilità per togliere la fiducia a Monti soltanto dopo, c’è da aspettarsi che Napolitano voglia far parlamentarizzare la crisi con un voto. Dopo di che aprirà brevissime consultazioni al Quirinale e poi, una volta certificato il definitivo requiem della maggioranza, scioglierà le Camere e chiuderà la legislatura.
Un percorso lungo il quale, anche andando a passo di carica, si arriverà alla prima decade di gennaio prima che si possa aprire la campagna elettorale, con una chiamata alle urne a fine febbraio (ma sarebbe un miracolo) o ai primi di marzo. Il 10 e 11. Questo è il più plausibile orizzonte temporale, su cui s’intreccia l’urgenza di fissare il voto per le regionali del Lazio (necessariamente da anticipare come ha stabilito il Tar) e di Molise e Lombardia, ponendo sullo sfondo l’ormai impraticabile possibilità di un election day che tenga tutto insieme.
Un finale di partita che Giorgio Napolitano, molto preoccupato per l’accelerazione politica di ieri, non si rassegna sia giocato all’insegna dei veleni, dell’improvvisazione, dell’irresponsabilità . Perché «c’è un limite alla discordia» tra i partiti.
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