Napolitano congela la crisi Camere avanti fino a gennaio

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È stata una giornata difficile, ma fruttuosa, quella di Giorgio Napolitano ieri. Impegnato non in una consultazione nel senso canonico del termine perché, mancando un fatto formale, siamo ancora in una fase di pre-crisi. Semmai in «una ricognizione sull’attività  dell’esecutivo», con separate udienze per i leader dei tre partiti che hanno sostenuto Monti in questi 13 mesi. Un sondaggio di cui il presidente ha tracciato personalmente un resoconto, diffuso in serata. Per spiegare al Paese quel che è successo e quel che succederà  nell’immediato futuro. E soprattutto per vincolare i propri interlocutori alle responsabilità  che si sono assunti davanti a lui.
Cruciale la sintesi dedicata all’incontro con Alfano, che giovedì aveva sollevato il problema in aula e che gli ha confermato «la decisione del Pdl di considerare conclusa l’esperienza» del governo Monti, ma anche «il fermo intendimento di contribuire a un’ordinata conclusione della legislatura». Con un via libera alle «inderogabili» leggi di bilancio, ma «riservandosi di decidere l’atteggiamento da tenere in Parlamento su ogni altro provvedimento già  all’esame delle Camere».
Un vincolo che sarebbe condizionato a un unico obiettivo, dunque. In base al quale Napolitano ha voluto sentire a strettissimo giro Schifani e Fini, per farsi un’idea di quali altre leggi siano vicine al varo nelle due assemblee. E sono una decina al Senato e una mezza dozzina alla Camera. Sarà  il premier a scegliere con lui, nell’incontro di oggi pomeriggio al Quirinale, a quali dare la precedenza (anche se, certo, non potranno essere molte: dal decreto Ilva a quello per lo sviluppo e, magari, a qualche parziale modifica della legge elettorale), nella speranza che il centrodestra ne permetta l’approvazione, astenendosi, ma assicurando il numero legale.
Poi, tra una telefonata e l’altra (una, ad esempio, con il segretario della Lega Maroni) ha incontrato i leader dei due superstiti pilastri della maggioranza, Bersani e Casini, e ha ricavato un prevedibile assenso sull’«ulteriore sviluppo — nelle nuove condizioni determinate dalla decisione del Pdl — dell’attività  legislativa». Saranno leali, insomma. Anche se per entrambi potrebbe essere ogni giorno più logorante portare la croce da soli, mentre Berlusconi sparerà  a palle incatenate contro l’esecutivo tecnico. Tanto vale, quindi, chiudere la pratica in fretta, «il prima possibile».
L’eutanasia della legislatura, pilotata e consensuale, è riassunta nella road map che Napolitano ha in mente e di cui ha parlato con i suoi interlocutori. La «irrinunciabile» legge di Stabilità  (o ex Finanziaria) andrà  in aula al Senato tra il 18 e il 21 dicembre. Ora, considerato che ci sarà  probabilmente bisogno di una terza lettura della Camera e che tra un passaggio e l’altro ci saranno le pause determinate dalle festività  natalizie, è logico pensare che l’approvazione definitiva si abbia soltanto negli ultimi giorni dell’anno.
Dopo di che, completati gli accertamenti di rito e senza che il governo passi necessariamente attraverso una sfiducia, la crisi sarà  formalizzata (nella prima decade di gennaio), il Parlamento congedato, la campagna elettorale ufficialmente aperta. Il che, calendario alla mano, ci porta dritti al 10 e 11 marzo come date del voto politico. Ciò che non esclude un eventuale accorpamento con le consultazioni regionali di Lombardia e Molise, mentre invece il Lazio resta fuori dall’election day dopo la sentenza del Tar.
«Il presidente confida — nel rispetto delle diverse sensibilità  e posizioni politiche — che risulti possibile un percorso costruttivo e corretto sul piano istituzionale, nell’interesse del Paese e della sua immagine internazionale». Così Napolitano ha tirato le somme dei colloqui, che al Quirinale definiscono svolti «in un clima sereno e franco» (vale a dire a tratti anche duro). Un auspicio dal quale affiora la sua preoccupazione per le ricadute, interne e internazionali, di eventuali, e purtroppo questi sì «possibili», deragliamenti dagli impegni presi ieri.


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