by Sergio Segio | 20 Dicembre 2012 8:43
NONOSTANTE i “rischi personali” a cui sa di andare incontro e benché sia convinto che sarebbe sicuramente “più comodo” restarsene nel suo studio da senatore a vita, a Palazzo Giustiniani, in attesa di un’offerta allettante da Bersani, in cuor suo Mario Monti ha deciso. La candidatura come leader del centro e quindi come candidato
premier è sicura.
NEL vertice di ieri con i centristi, Riccardi e Montezemolo, nella telefonata successiva con Gianfranco Fini, nelle riunioni che si sono susseguite a palazzo Chigi con i ministri Passera, Grilli, Giarda e Moavero, il premier ha mantenuto ferma questa decisione. Il suo silenzio non è dunque dovuto
a tentennamenti, soltanto al riserbo che ancora il ruolo di premier super partes gli impone. Ma tra quarantott’ore — approvata la legge di stabilità e date le dimissioni nelle mani del capo dello Stato — la riserva sarà sciolta e l’annuncio sarà pubblico.
Pignolo e attento ai dettagli anche minimi, Monti dunque parlerà , ma non durante la conferenza stampa di fine anno (ancora da decidere se farla sabato sera o, più probabilmente, domenica mattina). Ai giornalisti che glielo chiederanno non darà risposte. Poi, terminate le domande e dichiarata chiusa la fase istituzionale della conferenza stampa, sarà egli stesso a svelare quanto ha in mente. Con un appello finale in cui verrà lanciata la candidatura. Quella dell’impegno diretto «è la strada moralmente migliore», ha spiegato ai suoi sponsor dentro e fuori palazzo Chigi, usando come una clava quell’avverbio che Massimo D’Alema gli aveva scagliato
addosso due giorni fa. L’accusa del presidente del Copasir, quella di «immoralità » se avesse deciso di candidarsi contro il Pd che l’ha fin qui sostenuto, Monti non l’ha ancora digerita e non è tipo da dimenticare facilmente. Ancora ieri l’hanno sentito ripetere proprio ai leader di Udc e di ItaliaFutura che «non intende farsi dare ordini» da D’Alema. Questo freddo con l’ex ministro degli Esteri non significa comunque che il premier abbia ora in mente di partire lancia in resta contro il Pd. Tutt’altro. Gli obiettivi polemici della campagna montiana saranno altri, in primis Renato Brunetta — considerato l’ideologo della nuova fase populista di Berlusconi — e poi Nichi Vendola.
Con Bersani invece il premier coltiva un buon rapporto, ricambiato.
«Con Monti ci capiamo », conferma il segretario del Pd nelle sue conversazioni private. I due si sentono “complementari”. Sanno bene entrambi che Bersani a palazzo Chigi e Monti al Quirinale sarebbe il ticket perfetto per tranquillizzare i mercati e l’Europa, la Cgil e la sinistra. Ma al momento il Professore ha altri piani in mente. La “formula” dell’impegno pubblico sarà quella di una dichiarazione rivolta al futuro. Un appello in cui il premier farà il punto sull’agenda del governo e indicherà gli altri obiettivi da raggiungere. Un appello rivolto formalmente a tutti, a chi è interessato che quanto fatto finora non vada buttato, e in questo senso – ha spiegato agli alleati metterà se stesso a disposizione del progetto politico. Certo Monti non ha intenzione di riempire i teatri o fare comizi. Non è nel suo stile e la natura non si può violentare. Lascerà che siano altri a farlo per lui. «Di Berlusconi ce ne occuperemo noi», gli hanno assicurato battaglieri sia Casini che Montezemolo. Proprio il leader di Italia Futura, che negli ultimi giorni ha tenuto un profilo basso, è in procinto di lanciare da lunedì un’offensiva in piena regola proprio contro il Cavaliere. Bruciandosi così tutti i ponti alle spalle. Non è un mistero infatti che, fino all’ultimo, il leader del Pdl abbia cercato di portarlo dalla sua parte offrendogli di tutto. Anche la candidatura a premier. L’ultimo tentativo c’è stato questa settimana. A chiamarlo è stato una vecchia conoscenza, Gianni Letta, tentando di convincerlo a non sostenere Monti: «Luca, stai facendo un errore. Quella compagnia… Casini e Fini… ma tu che c’entri? Non è casa tua. Ci dobbiamo vedere ». L’appuntamento non è mai stato fissato, la telefonata di Letta è stata l’ultimo contatto con la cerchia berlusconiana.
Adesso tutti sono in ballo.
Certo, anche tra i montiani resta un problema aperto. Sarà una lista unica a sostenere Monti? Una federazione di partiti? Tre liste (la terza sarebbe quella
degli “esodati” del Pdl)? La riunione di ieri mattina con Casini, Cesa, Galletti, Riccardi, Montezemolo e gli altri non è servita ancora a sciogliere il nodo. Da
qui la preoccupazione generale, soprattutto del leader Udc: «Bisogna fare presto, Berlusconi occupando la tv ha già preso tre punti in una settimana. Io lo conosco bene, non lo dovete sottovalutare ». La lista unica “per Monti”, sia al Senato (dove di fatto è una scelta obbligata per via dello sbarramento all’otto per cento), sia alla Camera, è la scelta che i “politici” — da Casini a Fini — preferirebbero. Montezemolo e Riccardi, al contrario, hanno in mente di presentarsi per conto loro. Non per snobismo ma per un calcolo di marketing politico: «La nostra forza, il nostro brand, è la novità . Converrebbe a tutti». Ma la discussione è ferma a questo punto, anche se prevale quella delle tre liste. C’è poi la questione del ruolo di Corrado Passera. Montezemolo e Casini frenano. Il ministro dello Sviluppo, concordano da Italia Futura e Udc, «vuole sempre il posto di capotavola. E pure quando lo ottiene deve comunque allargare i gomiti ». L’unica decisione presa è invece quella di presentarsi anche alle regionali. Ci saranno liste Monti sia in Lombardia (con Albertini) che nel Lazio.
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