Migranti, rifugiati, profughi: persone, non fantasmi
Nel luglio 2011, incastrato in una Tripoli dominata dalla violenza, è scappato via mare mentre migliaia di suoi concittadini attraversavano i cieli per rientrare in patria. La storia di Abdul è diversa. Per sei anni era stato arruolato nell’Union des Forces pour la Démocratie et le Développement, gruppo armato che tentava di rovesciare il regime di Idriss Déby, colpevole fra le altre cose di non riconoscere i diritti della sua etnia. Di fronte alla disfatta del movimento e alle tensioni continue nel Ciad, era fuggito in Libia. Inseguito dalla guerra, ben presto è nel mezzo degli scontri fra lealisti gheddafiani e milizie di Bengasi. La vita di un ex-soldato è difficile, anche se la guerra non è la tua. Per questo salpa per l’Europa, pochi mesi dopo essere arrivato.
Ahmed e Abdul erano fra le migliaia di persone che hanno occupato le piazze di Roma lo scorso 30 ottobre. “Persone, non fantasmi” recitava lo slogan più diffuso. Una manifestazione nata dalla necessità di dare visibilità ai “profughi” arrivati dalla Libia, per chiedere risposte adeguate al governo. Risposte che da allora, a pochi giorni dalla conclusione del piano di accoglienza nazionale, sono arrivate solo in parte. Livia Cantore, delegata nazionale di ARCI per l’asilo, racconta come “i migranti siano stati inseriti in un sistema di ospitalità parallelo, senza regole, molto costoso nonostante la qualità spesso bassa”. Un sistema che, sostiene, “ha penalizzato le persone più vulnerabili, senza offrire strumenti per l’integrazione e garanzie di tutela legale”.
Salvo infatti i singoli casi di progetti più virtuosi e di sistemi regionali come quelli di Puglia, Emilia-Romagna e Toscana, Cantore sottolinea come l’accoglienza poteva essere migliore e più economica. Un aspetto reso più evidente dall’imminente conclusione dei fondi nazionali stanziati nel 2011. “Ci sono esperienze positive, ma manca una reale exit-strategy per gli accolti. Sul fronte del rilascio di permessi di soggiorno per motivi di protezione, pochi giorni dopo la manifestazione, a cui hanno partecipato anche molti rifugiati, il governo ha diffuso alcune circolari che definivano le procedure per un riesame della domanda d’asilo di tutti i migranti a cui non era stata riconosciuta alcuna protezione. Una procedura complessa e non adeguata, che fa pensare a un sistema di fantasia al potere, in senso negativo”. La posizione di ARCI è condivisa da A.S.G.I. – Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, che ha espresso dubbi sulla circolare fin dalla sua pubblicazione. Per l’avvocato Salvatore Fachile “se l’intento di fondo è apprezzabile, le modalità sono assolutamente anomale: si parla di una sorta di riesame accelerato delle domande di asilo che avevano avuto esito negativo, quando le linee guida approvate dal governo indicavano chiaramente la necessità di rilasciare un permesso per motivi umanitari, senza ricorrere nuovamente al lavoro delle commissioni territoriali per l’esame della domanda di asilo”.
È per questo che A.S.G.I., che negli ultimi anni è stata una delle più attente sentinelle di guardia dei diritti dei migranti nel nostro paese, ha avviato un monitoraggio delle pratiche delle questure in merito, sfruttando una rete di avvocati ormai presente in tutta la penisola. Anna Brambilla, milanese di nascita e di recente migrata in Toscana, racconta in breve il sistema lombardo: “la questura di Milano ha improntato un sistema telematico, per cui ogni rifugiato presentava la richiesta di riesame tramite l’ente che lo ospita. Il problema naturalmente si pone per chi è uscito dai progetti di accoglienza e per chi è ospite in alberghi, che non offrono nessuna garanzia seria”. Se infatti una cooperativa sociale può sentirsi in dovere di rintracciare un ex-ospite per informarlo della possibilità di chiedere il riesame, non è detto che l’albergatore abbia interesse a farlo, con il rischio che molte persone rimangano escluse da questa procedura. “Il problema riguarda poi chi non ha presentato un ricorso contro il diniego, o chi ha già ricevuto un rigetto del ricorso in tribunale. Su questi casi, e in generale sul reale accesso delle persone al riesame, non abbiamo ancora un riscontro preciso”.
Proprio la possibilità di continuare il ricorso è un ulteriore elemento critico, sottolinea l’avvocato Nazzarena Zorzella, socia A.S.G.I. del foro di Bologna. Per Zorzella, che segue oltre 30 ricorrenti, “ogni richiedente asilo deve essere messo in condizione di continuare il ricorso se ritiene di avere diritto a una protezione maggiore di quella umanitaria concessa tramite il riesame”. Un diritto che non tutti i tribunali sembrano riconoscere, tanto che alcuni hanno dichiarato la cessazione della materia del contendere, ovvero la conclusione del ricorso dopo il rilascio del permesso per motivi umanitari. Un permesso valido un anno, che per l’avvocato non tutelerebbe adeguatamente tutti. È il caso dei nigeriani, dato che “la Nigeria è in una situazione di violenza e instabilità diffusa, tale che in linea di massima si dovrebbe riconoscere la protezione sussidiaria (un permesso di tre anni, ndr) ai suoi cittadini”.
Questo tardivo riconoscimento di una protezione incerta per chi è scappato dalla Libia è, secondo Zorzella, “un ulteriore svilimento della dignità di persone che potevano dare un contributo significativo all’economia e alla società ”. All’incertezza dei diritti segue quella dei percorsi personali. Il piano di accoglienza nazionale termina a San Silvestro, e 17.500 persone potrebbero trovarsi per strada. Una prospettiva che non piace alla società civile napoletana, che lo scorso 11 dicembre ha promosso una manifestazione regionale per chiedere risposte concrete al governo e alla Protezione Civile, incaricata di gestire i fondi per l’accoglienza. Yasmine Accardo, attivista dell’associazione Garibaldi 101, ha svolto un lavoro di mediazione continua con i rifugiati e con le istituzioni, contribuendo a gettare luce sugli aspetti più oscuri della gestione dell’accoglienza. “Nell’ultimo anno e mezzo – racconta Yasmine – abbiamo segnalato situazioni di estrema gravità . Alcuni degli alberghi che hanno ospitato i rifugiati, quello di piazza Garibaldi a Napoli e altri in provincia, fino al Tifata di San Prisco (Caserta) erano già indagati per attività illecite, oltre a trovarsi in zone difficili, bacini di attività per la camorra. Basti pensare che uno degli hotel è poco distante dalle vele di Scampia, fra le zone a più alta concentrazione criminale”.
Situazione che ha portato a gravi forme di sfruttamento del lavoro e che ha compromesso inevitabilmente qualsiasi percorso di inserimento, tanto che Garibaldi 101 ha presentato oltre un anno fa un esposto alla procura della Repubblica contro la Protezione Civile, per chiedere chiarezza su un sistema di finanziamenti opaco e clientelare. “Non è però cambiato nulla – sottolinea Accardo – e la così detta fase II, quella della formazione e dell’integrazione sociale, non è mai partita per i 900 rifugiati di Napoli e per molti dei 2200 ospitati in regione”. Dopo un investimento di 59 milioni nella sola Campania, finiti in gran parte nelle borse di chi nei rifugiati vedeva solo una merce, Yasmine e i suoi colleghi attivisti guardano con preoccupazione a un’ulteriore stanziamento di fondi. È del 17 dicembre la notizia di una proroga dell’accoglienza, probabilmente per ora di due mesi, anticipata il 13 da Redattore Sociale, che ha riportato le parole del direttore Immigrazione del ministero Politiche sociali Natale Forlani. “Ci sembra assurdo – è la conclusione di Accardo – che dopo un anno e mezzo di vuoto, ora spuntino ulteriori investimenti. Davvero si pensa di poter fare in due mesi quel che non si è fatto in quasi due anni?”.
Ahmed, Abdul e con loro tutte le persone ancora accolte aspettano di sapere cosa ne sarà di loro, che senza un lavoro non possono pagare un affitto. Sembra evidente, sostiene l’avvocato Zorzella, che “la soluzione è rinviata al nuovo governo”, a conferma della visione emergenziale che continua a dominare la politica italiana dell’immigrazione.
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