by Sergio Segio | 16 Dicembre 2012 8:28
PALERMO — Non è più solo un’indagine conoscitiva, ma un’inchiesta vera e propria quella che è stata avviata in questi ultimi giorni dalla Procura di Caltanissetta. Ha un’ipotesi di reato pesante: rivelazione di notizie riservate. E un primo indagato eccellente: il procuratore della Repubblica di Palermo, Francesco Messineo. Il magistrato che è stato al centro del conflitto di attribuzioni sollevato dal Quirinale per le intercettazioni dell’inchiesta “trattativa stato mafia” è ora sospettato di aver passato informazioni su un’inchiesta a uno degli uomini più influenti della Sicilia, Francesco Maiolini, ex direttore generale di Banca Nuova e oggi presidente dell’Irfis, l’ente siciliano del mediocredito. L’inchiesta riguardava proprio Maiolini, e ipotizzava che una ventina di dirigenti di Banca Nuova fossero responsabili di usura bancaria. È il 12 giugno quando il manager telefona al procuratore e la conversazione viene intercettata nell’ambito di un’altra indagine della Procura di Palermo riguardante Maiolini. Seguono due incontri tra gli interlocutori. E qualche giorno dopo, Maiolini parla con uno degli avvocati della banca, dimostrando di conoscere particolari riservati sull’inchiesta. Da chi li ha appresi?
Il procuratore di Palermo e il suo avvocato, Francesco Crescimanno, sono rimasti sei ore, venerdì pomeriggio, davanti ai pm di Caltanissetta. Dopo l’interrogatorio, Messineo si è chiuso in un profondo silenzio. Parlerà forse domani, davanti ai sostituti del suo ufficio, in un assemblea che si prevede movimentata. L’argomento sarà affrontato anche al Csm: potrebbe essere aperta una pratica per incompatibilità ambientale, che tra i verdetti più drastici annovera anche il trasferimento d’ufficio.
Francesco Maiolini accetta invece di rispondere alle domande di Repubblica, ed è la prima volta che interviene da quando questo caso è scoppiato. Dice di vivere «una serenità assoluta», perché, spiega, «non c’è proprio la possibilità di una violazione di segreti in un’indagine come quella di usura bancaria: le carte sono tutte lì, in banca. Dunque, il banchiere non ha alcuna esigenza di conoscere altre notizie». E aggiunge: «Un direttore generale che vede arrivare nel proprio istituto 23 avvisi di garanzia per un presunto superamento del tasso soglia usura di poco più di 3.000 euro ha il dovere istituzionale di telefonare al procuratore della Repubblica per offrire tutti i chiarimenti».
Ma il 12 giugno, Maiolini non era più dirigente generale di Banca Nuova: perché allora il suo interesse? «Guardi, di quella vicenda dell’usura bancaria non ne ho parlato solo con Messineo. Erano i giorni in cui facevo le visite di saluto, dopo aver lasciato il mio incarico in banca: ne ho parlato con tutti i rappresentanti delle istituzioni
che ho incontrato. E continuo a parlarne anche adesso, perché è un tema di interesse per tutto il sistema bancario, che si è limitato ad applicare un regolamento della Banca d’Italia. È un tema di attualità , chiuso da tante procure con un’archiviazione». Abbiamo anche chiesto a Maiolini dei suoi rapporti con gli uomini delle istituzioni siciliane: figli e mogli di alcuni magistrati sono stati infattiassunti a Banca Nuova. «Sono orgoglioso di avere assunto i familiari di alcuni valorosi magistrati antimafia. La mia è stata una scelta di campo. Abbiamo voluto in banca pure la moglie di uno dei carabinieri morti a Nassirya. Ne vado fiero. A Banca Nuova non ci sono parenti di mafiosi. Vent’anni fa, in tante altre banche siciliane non accadeva così. E l’anno scorso, la Banca d’Italia ha fatto un’ispezione di 4 mesi sul fronte antiriciclaggio. Non ci è stata fatta neanche una sanzione ».
Si presenterà anche Maiolini, con il suo avvocato Lillo Fiorello, alla Procura di Caltanissetta? «Questa indagine non ci riguarda », sostiene.
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