by Sergio Segio | 6 Dicembre 2012 9:23
Guido Martinotti è morto improvvisamente a Parigi. Sono tristissimo. Guido è stato un costante punto di riferimento, una sorta di fratello un poco più grande.
Le nostre vite si sono svolte in parallelo nell’arco di mezzo secolo, abbiamo condiviso passioni e idee, abbiamo discusso e polemizzato, sempre con stima, affetto e rispetto. Dal Cucmi (il mitico circolo cinematografico delle università milanesi) e dalla borsa di studio Harkness per gli Stati Uniti (lui alla Columbia University di New York; io poco dopo a Berkeley, in California) negli anni Sessanta fino agli incontri recenti della rivista «Reset» (che abbiamo fondato insieme a Norberto Bobbio, Vittorio Foa e molti altri amici), passando via via per le ricerche svolte all’Ilses (Istituto lombardo di studi economici e sociali) con Angelo Pagani, per la nascita della facoltà di Scienze politiche dell’Università Statale di Milano negli anni della contestazione studentesca, per i nostri ruoli rispettivi di preside alla Statale e di prorettore alla Bicocca, per la partecipazione a congressi della International sociological association e a vari comitati di esperti in cui davamo consigli pro bono, generalmente inascoltati, ai responsabili del governo cittadino o nazionale.
Guido Martinotti è stato, innanzitutto, un limpido esempio di intellettuale critico, una figura rara e preziosa; un geloso custode della propria libertà intellettuale, che non rifiutava tuttavia di contribuire, in veste di esperto, alla realizzazione di riforme necessarie, a cominciare da quella universitaria (è stato il «padre» della riforma dei cicli di studio, poi tuttavia realizzata in modo un po’ diverso da come l’aveva concepita); lucido e talvolta impietoso indagatore della vita dei partiti, e in primo luogo del suo Partito socialista, sempre motivato da una forte e genuina passione civile; appassionato testimone/partecipante e insieme rigoroso studioso della complessità contemporanea, in particolare delle trasformazioni della città .
Martinotti è stato anche un eccellente scienziato sociale, uno dei maggiori sociologi italiani della sua generazione e il maggior sociologo dei fenomeni urbani, internazionalmente apprezzato, in particolare negli Stati Uniti e in Francia, sue «seconde patrie».
Si era laureato in Giurisprudenza con una tesi sulle interpretazioni sociologiche del fascismo, con Renato Treves. Per più di mezzo secolo ha sviluppato un percorso esemplare di scienziato, docente, esperto, critico sociale. Ha scritto numerosi libri, rapporti di ricerca, saggi e articoli di acuta immaginazione sociologica, grande rigore metodologico e coinvolgente stile narrativo.
Basti ricordare, tra i lavori giovanili, Città e analisi sociologica e, tra quelli della maturità , Metropoli. La nuova morfologia della città , Cittadini si diventa (con Eva Cantarella, sua compagna di una vita), Perceiving, Conceiving, Achieving the Sustainable City e Atlante dei bisogni delle periferie milanesi.
È stato anche un grande professore, capace di interessare, coinvolgere, affascinare intere generazioni di studenti in Italia e all’estero, all’Università Statale e alla Bicocca, all’Università di Torino e all’à‰cole des hautes études di Parigi, all’Università di California a Santa Barbara e alla New York University.
Da questa pluralità di sedi prestigiose che ha frequentato emerge un altro tratto distintivo della sua personalità : il suo cosmopolitismo. Guido era perfettamente a suo agio, senza ostentazione e senza affettazione, a Manhattan come nelle periferie milanesi, al Quartiere Latino di Parigi come nella casa avita sul Lago Maggiore e in molti altri posti. Ovunque mostrava, con il suo sorriso intelligente, una vivissima, autentica, curiosità per persone, luoghi, memorie, segnali di cambiamento, un desiderio di comprendere e confrontare, e poi di raccontare in quel suo piacevolissimo stile di conversazione che animava le serate con gli amici e vivacizzava i suoi commenti sul blog.
Il suo ultimo messaggio email mi è arrivato la sera di lunedì scorso attraverso la comunità virtuale del Circolo Rosselli; ricordando un apologo zen, Martinotti invitava ad abbandonare i vecchi stracci ideologici e a costruire una unità nuova della sinistra italiana, rivendicando l’attualità del socialismo liberale, quello autentico.
E un ultimo aspetto del carattere di Guido voglio ricordare: la sua gioventù di mente e di spirito. Non che Guido non avesse sviluppato negli anni atteggiamenti «senili», una certa saggezza unita a idiosincrasie e accanimenti polemici; ma conservava intatto il desiderio di apprendere, conoscere, dare senso alle trasformazioni straordinarie del nostro tempo, dalle nuove tecnologie informatiche alla nuova realtà globale/locale, dagli intrecci interculturali alle nuove istanze di giustizia.
Oggi mi sento, ci sentiamo in molti, un po’ più soli.
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