Maroni e le alleanze «Trattiamo ancora»
«Abbiamo il dovere di essere consapevoli — avrebbe detto Maroni — che il non sperimentare tutte le possibilità di un’alleanza con il Pdl rischia di imporci un reset: niente Euroregione del Nord, un nuovo progetto, una nuova strategia… E anche un nuovo segretario». Non è un avviso di dimissioni. Non ancora. Ma un appello teso. Anche perché, secondo i racconti, il capo leghista è stato duro sulle «recenti vicende giudiziarie che hanno aggiunto un peso in più alla nostra corsa». Un riferimento al coinvolgimento di diversi esponenti leghisti nell’inchiesta sui fondi dei gruppi regionali in Lombardia.
Zampata andata a segno, visto che il consiglio federale del Carroccio, all’unanimità , ha affidato a Maroni ampio mandato per trattare con il Pdl. Il segretario ha infatti chiesto soltanto pochi giorni ancora: «Venerdì sapremo cosa intende fare Monti. Se accetta l’appello per la discesa in campo e mette in fila anche il Pdl, per noi la discussione è chiusa. Ma, in caso contrario, dobbiamo andare a vedere le carte degli altri».
Zucchero per le orecchie di Roberto Calderoli, Giancarlo Giorgetti, Manuela Dal Lago e — sorpresa nella sorpresa — il capogruppo a Montecitorio Gianpaolo Dozzo. Che soltanto domenica scorsa aveva proclamato la necessità per il Carroccio di corsa solitaria, sia pure per le politiche.
Operazione ad altissimo rischio, invece, per il sindaco di Verona Flavio Tosi, per il vicesegretario leghista Federico Caner, per il gran capo della Romagna Gianluca Pini e per l’influente avvocato varesino Andrea Mascetti. Che si sono spinti a proporre che il movimento neppure si presenti alle politiche: «Siamo Prima il Nord? E allora concentriamoci sul Nord».
In serata, Maroni dissipa un equivoco che aveva pesato sull’intera giornata: la Lega sarebbe disposta ad accettare una candidatura a premier di Berlusconi? La sensazione di molti componenti del federale era quella. Anche perché Maroni, leggendo un sondaggio, ha spiegato che Angelino Alfano candidato premier per gli elettori leghisti sarebbe soltanto poco meno traumatico di Berlusconi. Ma in serata, a Mantova, il segretario chiarisce: «No a Monti e no anche a Berlusconi candidato premier». Cosa che nel Pdl berlusconiano crea problemi oggi insormontabili.
Eppure, la sfida in Lombardia resta ad alto rischio. La strada intrapresa dagli ex di An che fanno capo a La Russa, nel Carroccio suscita soltanto diffidenze. E nella Lega, ma anche nel Pdl, sono in molti a scommettere che la componente «ciellina» che fa capo a Roberto Formigoni all’ultimo momento abbandonerà Gabriele Albertini per far convergere i suoi voti sul candidato del centrosinistra Umberto Ambrosoli. La speranza è che l’ex sindaco di Milano, misurata l’impossibilità di qualsiasi risultato che non sia far perdere il centrodestra, si ritiri dalla corsa. E si consultano i sondaggi: senza Albertini, il nome di Maroni passa dal 25 al 39% delle intenzioni di voto. Con Ambrosoli al 32%.
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