Maroni al Cavaliere: alleati se lasci

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MILANO — «Caro Silvio, nulla di personale. Però, se insisterai a voler essere il candidato premier, la Lega non potrà  sostenerti. Perché noi pensiamo che un deciso rinnovamento sia indispensabile». Così Roberto Maroni anticipa ai suoi il contenuto di quello che dirà  («con chiarezza e anche una certa ruvidezza») a Silvio Berlusconi pochi minuti più tardi, una volta varcata la soglia di palazzo Grazioli dove i due si incontreranno per un summit che nasce tormentato. Ma, alla fine, il dado è tratto. E la prospettiva di una rottura definitiva tra la Lega e il Pdl oggi è assai più concreta di ieri. Sempre che — ma nel Carroccio questa è opinione comune — il Cavaliere non decida di farsi da parte.
Fino al tardo pomeriggio, il dubbio regna sovrano. Al mattino, è stato lo stesso ex premier Silvio Berlusconi a dare le coordinate dell’incontro. Le racconta a Maurizio Belpietro: «Mi vedo questa sera a cena con Maroni e parleremo dell’alleanza nazionale, degli impegni che ciascuno assumerà  relativamente al programma da presentare agli italiani. Da questa possibilità  di alleanza nazionale discenderà  anche la possibilità  di un’alleanza per le Regionali in Lombardia». La conferma di un concetto già  espresso: il segretario leghista vuole il sostegno del Pdl in Lombardia? Garantisca l’alleanza anche a livello nazionale. Una formula semplicissima: Maroni governatore, Berlusconi premier.
Tanto basta a scatenare i leghisti. I capi si scambiano telefonate, Maroni parla con tutti. Ma per alcune ore il dubbio resta. Si incontrano. Non si incontrano. Maroni non è neppure a Roma, ma a Lecco. Nel tardo pomeriggio il flusso delle voci cambia direzione. Si incontrano sì, ma non per cena. Si incontrano sì, ma soltanto per una chiacchierata volante. Senza impegno e senza decisioni definitive. Come dire: poca o nessuna rilevanza. Basterebbe la cronologia dei boatos intorno all’annunciato vertice tra Silvio Berlusconi e Roberto Maroni per dipingere il dilemma in cui si trovava la Lega prima di sciogliere il nodo più complicato: quello dell’alleanza, o meno, con il partner di sempre. Ma il segretario leghista ha rotto gli indugi: la voce pressoché unitaria del movimento lo ha convinto.
Si badi, non soltanto la base che imperversa con messaggi alla Padania e in via Bellerio. È lo stato maggiore del partito che non ne vuole sapere. I veneti, in primo luogo, ma anche i lombardi. Gianpaolo Dozzo, il capogruppo alla Camera, lascia le cautele che di solito sono proprie del ruolo: «Se Berlusconi insiste a voler essere lui candidato sarà  difficile. Se ci sarà  qualche altro candidato premier si vedrà ». Il punto è tutto lì. Fatte salve alcune obiezioni locali, il problema non è l’accordo con il Pdl. Su quello, in fondo, le obiezioni sarebbero formali. La questione, qui, ha un nome e pure un cognome: Silvio Berlusconi. Con il Pdl ci si può alleare anche a livello nazionale, purché il candidato a Palazzo Chigi non sia l’inquilino di ieri e dell’altro ieri.
Maroni, raccontano i fedelissimi, se ne è convinto: «Berlusconi è un ostacolo che non posso superare» avrebbe detto. «Tutto il movimento, in ogni sua componente territoriale, mi parla con una voce sola. Il sostegno a Berlusconi premier non siamo in grado di darlo». Se non fossero bastate le voci del partito, a certificare il problema nei giorni scorsi sono arrivati anche i sondaggi. Lombardi, dunque per il Carroccio quelli che contano: tra i suoi potenziali votanti come governatore, Maroni perde 20 (venti) punti qualora si presenti come sostenitore di Berlusconi premier. Molti più di quelli che potrebbero arrivare da un generico accordo con il Pdl. Un prezzo davvero troppo pesante. Soprattutto dopo che è ormai chiara un’altra cosa: Berlusconi non è in grado di persuadere Gabriele Albertini al ritiro dalla competizione.


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MOVIMENTI di folla uguali e contrari davanti al portone principale, barzellette sul retro, volti sconosciuti al di là  delle transenne, stridore di gomme, sventolio di striscioni,
presagi da marciapiede.

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