Ma compaiono i simboli di «Italia per Monti»

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ROMA — Sembra che Monti abbia preso appunti anche in questa occasione. Lo fa di solito, ma in un passaggio politico così delicato, di fronte alle domande di Bersani, rimaste inevase, l’atteggiamento ha indispettito il segretario del Pd.
Raccontano nel Partito democratico che non sono poche le domande che non hanno ricevuto risposta. Bersani ha provato ad imbastire un discorso su una futura collaborazione, dopo il voto, Monti in alcuni casi ha risposto che non poteva rispondere, visto che non ha ancora sciolto la riserva: la «riflessione» del capo del governo è ancora in corso e anche le modalità  di un suo intervento in campagna elettorale appaiono, per usare un eufemismo, incerte.
A Palazzo Chigi non escludono nemmeno una candidatura diretta del premier, nonostante sia senatore a vita. Sembra impossibile, ma è così. Non meno confusa appare al momento la questione di una sua lista: nelle stanze del governo, ieri pomeriggio, su alcune scrivanie, facevano bella mostra dei simboli elettorali con la scritta «Italia per Monti». Si respira una certa eccitazione, ma anche le incertezze dei neofiti, alle prese con i dubbi della raccolta delle firme e dei bolli dei notai.
Non è chiaro se le bozze siano un’ipotesi grafica di una lista che il capo del governo sta curando in prima persona, che presenterebbe lui stesso, in grado di fare da centro di gravità  di un progetto di federazione politica che comprenda più attori, o se viceversa siano solo le prime stilizzazioni di quel movimento che per ora è aggregato attorno al ministro Riccardi, a Montezemolo, alle Acli, insieme al quale lavora anche Casini, e che certamente sarà  uno dei perni di una campagna elettorale a favore del Professore. Al quale lui potrebbe fornire un endorsement e un programma di riforme da sottoscrivere, almeno nella versione minima di un suo coinvolgimento.
Ieri pomeriggio, proprio Casini sottolineava l’incertezza in questi termini: «Ci dicano cosa decidono, se una o più liste, ma lo facciano in fretta». Nel partito dell’ex presidente della Camera propendono per la prima ipotesi, per ragioni di tecnica elettorale e per ragioni politiche: meglio un solo soggetto, che una pluralità  di liste che candidano il Professore a restare a Palazzo Chigi. Sarebbe più facile non incappare nelle complicate soglie di sbarramento, soprattutto al Senato, rimaste in vita insieme alla vecchia legge elettorale, ma anche costruire in ogni Regione, e presentare agli elettori, un’offerta di volti nuovi e distanti dalla politica.
E di volti nuovi parlava ieri mattina proprio Monti, dicendo che per il Paese «occorreranno sempre più persone preparate, serie, capaci di leggere il cambiamento e di saperlo guidare». Un elenco di persone che hanno questo profilo lo si rintraccia di certo nel lavoro di questi giorni del ministro Riccardi, che anche per conto del premier sta svolgendo, per così dire, un’operazione di recruiting.
A margine del Consiglio dei ministri, ieri pomeriggio, il capo del governo ha parlato brevemente della situazione, accennando «a resistenze e contrarietà  in Italia», rispetto ad una sua discesa in campo. Al contrario, ha aggiunto, all’estero, «persino Hollande, che è socialista, mi ha chiesto continuità ».
Bastano questi pochi dettagli per un quadro in cui la situazione resta fluida: le gradazioni di un coinvolgimento di Monti alle prossime Politiche sono ancora molte, così come i punti di approdo della «riflessione» di cui ieri parlava Bersani, all’uscita di Palazzo Chigi. Con un malcelato fastidio, visto che occorreranno alcuni giorni per scoprire le esatte intenzioni del capo del governo.


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