L’ultima chiamata alle urne prima del default

by Sergio Segio | 27 Dicembre 2012 11:06

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La lunga intervista a Massimo Bordignon col nome di Europa la casa comune in fiamme (il Mulino pp. 122, euro 10) comincia con l’analizzare la crisi che sta subendo il «sistema Europa» e i paesi che lo compongono. 
Termini e espressioni come spread, bund, agenzia di rating sono entrati prepotentemente nel lessico delle discussioni comuni grazie/a causa dell’ampia diffusione che i media hanno dato a questi termini, legandoli sempre più al processo di «unificazione politica» del vecchio continente. Andare a ritroso di tale processo è uno dei compiti di questo libro, anche se l’autore sottolinea spesso che occorre indagare il ridisegno della geografia politica dell’Europa causato dalla crisi economica. Alla domanda riguardante gli effetti della crisi finanziaria degli Stati Uniti, della «crisi di fiducia» che sta attraversando l’Europa mettendo in discussione la moneta unica, Bordignon risponde infatti che: «La crisi europea degli ultimi anni è una crisi di natura istituzionale, più che economica. È dovuta a mutamenti che rendono la tradizionale struttura della sovranità  non più in grado di adeguarsi ai ritmi e alle turbolenze della finanza globale. Il problema è che ancora non è emerso un nuovo equilibrio». Significativo è anche il fatto il primo capitolo di questo piccolo volume azzurro si chiami appunto «Alla ricerca di un nuovo equilibrio».
«Abbiamo bisogno di strutture sovranazionali legittimate, in grado di far fronte a una situazione economica che sta cambiando rapidamente e che produce conflitti», afferma Bordignon, che non crede alla «tecnocrazia» coem sostituitivo della politica, poiché bisogna «tornare a fare politica e ad affrontare il problema della legittimità  politica delle istituzioni europee». Nonostante tutto è lo stesso docente che indica in Mario Monti ha le caratteristiche del politico italiano del «futuro», anche se riconosce che non è stato legittimato da elezioni in quanto imposto dal Presidente della Repubblica.
La difficoltà , comunque, nella ricerca del «nuovo equilibrio», sta anche nel fatto che i paesi che compongono l’Unione Europea non hanno voluto cedere «quote di sovranità » alla stessa Unione. Proprio per questo, secondo il docente di Scienza delle Finanze all’Università  Cattolica di Milano, gli strumenti di governance messi in campo affannosamente negli ultimi due anni soffrono di un pesante deficit democratico: manca una struttura sovrastatale pienamente legittimata. Tale mancanza porta le popolazioni dei paesi del sud dell’Europa, non solo quelle della Grecia, a rifiutare i diktat di altri stati o imposti dalla cosiddetta troika (Fmi, Bce, Commissione europea) giacché non legittimati.
Il primo atto da compiere, per avviare l’Europa sul cammino dell’unione politica, è l’elezione diretta del presidente della Commissione Europea che si trascini una «campagna elettorale pan-europea con candidati che si confrontano su piattaforme elettorali diverse» ma che «farebbe moltissimo per migliorare la percezione di legittimità  democratica dell’Unione da parte dei cittadini europei». Altro passo importante del volume è quello riguardante il fiscal compact, tema che ha infiammato, e sta continuando a farlo, il dibattito politico nazionale.
Per Bordignon il fiscal compact non rappresenta la «soluzione dei problemi europei», ma «per noi è praticamente imposto dalle circostanze: non potremmo fare diversamente neanche se lo volessimo». 
Bordignon affronta in concreto la questione dell’«equilibrio di bilancio», solo dopo un lungo discorso in cui afferma: «Insomma, il problema del fiscal compact non è che l’abbiamo adottato noi ma che l’ha adottato anche la Germania», poiché il suo effetto negativo «è quello di non costringerci a politiche recessive ma spinge altri paesi in migliori condizioni ad adottare le stesse politiche rendendo la nostra situazione più difficile».
Scrivere intorno alla crisi istituzionale ed economica che sta attraversando l’Europa e analizzarne le cause significa, per dirla con le parole dell’autore, che il sistema-europa deve «fare passi molto rapidi e molto chiari in direzione di una forte integrazione politica, oppure l’Unione monetaria è destinata a rompersi».

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