LO STILE DELLA TOGA

by Sergio Segio | 30 Dicembre 2012 7:41

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Questa volta, però, sembra prendere corpo una ulteriore specificazione, tutta interna al vasto campo del centrosinistra e della sinistra movimentista: la purezza della candidatura del coerente Antonio Ingroia e le impurità  di quella dell’incoerente Piero Grasso. Convinto della politicità  di tutte le candidature e diffidente dei giudizi di coerenza o incoerenza ammanniti dai soliti duri e puri, credo che sarebbe meglio parlare del valore aggiunto che queste acquisizioni hanno apportato e potrebbero apportare alla politica e alle riforme in tema di giustizia e non solo.
Non c’è dubbio che il mix di avvocati e magistrati arruolati da Berlusconi abbia contribuito in gran parte a realizzare uno sfascio senza precedenti del nostro sistema giudiziario e se non c’è stata una catastrofe istituzionale lo si è dovuto alle barriere erette dalla Costituzione vigente e dalla Corte sua custode. A partire dalla cervellotica riforma costituzionale sconfitta da un referendum popolare, passando per le tante leggi ad personam, in parte naufragate (i vari «scudi») e in parte andate in porto (falso in bilancio, prescrizione breve, ecc.) per finire con il totale fallimento dei propositi riformisti della guardasigilli Severino (la fasulla legge anticorruzione, le mancate norme sull’autoriciclaggio, sul falso in bilancio, ecc.), la deriva è stata propiziata non tanto dal supporto dei tecnici berlusconiani, quanto dalla maggioranza parlamentare di centrodestra. Specularmente, il fallimento dei tecnici del centrosinistra è stato determinato dalla debolezza politica del loro schieramento che, non va dimenticato, anche quando ha governato nel biennio prodiano, in Senato non ha mai avuto la necessaria maggioranza.
 Berlusconi il «valore aggiunto» l’ha ricavato più dalla sua forza politica che dai suoi tecnici ed è sulla forza politica che la sinistra deve contare se vuole realmente cambiare lo stato di cose esistenti.
La candidatura di Piero Grasso è senza dubbio una mossa felice per il Pd e per il suo impegno specifico per una legalità  che l’ex procuratore nazionale antimafia ha impersonato per anni e che le invettive dei prossimi due mesi non riusciranno a scalfire. Se però Bersani, costretto, dovesse acconciarsi a governare in condominio con Monti e compagni, Grasso o non Grasso, tutto sarebbe più problematico, se non vano. Lo stesso Ingroia, che adombra milioni di voti teorici, dovrà  prima o poi passare alla conta dei voti reali e con questa sua forza misurarsi in Parlamento, sperando che faccia il deputato e non il pm giustiziere: ne abbiamo già  visto uno che poi votò contro la commissione parlamentare per il G8 di Genova, mantenne la società  per il ponte sullo Stretto, e via dicendo.
Quanto poi allo stile della campagna elettorale, c’è solo da sperare che i contendenti (e i loro fiancheggiatori) non facciano ricorso ad armi improprie e, soprattutto non brandiscano come clave Falcone e Borsellino, magari attribuendo loro giudizi sul presente o tirando fuori confidenze mai sentite da nessun altro, né rispolverino come materiale propagandistico successi e insuccessi giudiziari: ci sarà  tempo per tornare su tutto ciò, semmai la propaganda dovesse degenerare in rissa scomposta. Devo, però, dire da ora che catalogare Grasso come uomo di Berlusconi è semplicemente falso e ben lo sanno i compagni della passata Rifondazione comunista che ne hanno spesso sentito gli interventi nei loro convegni.
Sarebbe, comunque, controproducente per la sinistra nel suo complesso ridurre la campagna elettorale a una specie di referendum tra Grasso e Ingroia, anche perché la vera posta in gioco è il modello costituzionale di società  «fondata sul lavoro» che vogliamo, con la legalità  che ne costituisce uno dei tanti cardini.

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