Lo spread torna sotto quota 300 per lo Stato un risparmio di 50 miliardi
MILANO — Lo spread anticipa Babbo Natale e – dopo averci fatto passare mesi d’inferno – confeziona per l’Italia un regalo da 50 miliardi. Il differenziale tra i nostri Btp decennali e i Bund, il numero magico che ha fatto da colonna sonora a tutta la crisi dei debiti sovrani, è tornato ieri per la prima volta da marzo 2011 sotto quota 300, toccando un minimo di 296 punti a metà giornata prima di assestarsi in chiusura a 304. Lontano (per fortuna) anni luce dallo stratosferico record di 575 raggiunto il 9 novembre 2011 negli ultimi giorni del governo Berlusconi.
«E’ stato un movimento al ribasso dolce, graduale e apprezzato », ha festeggiato con sobrietà il premier Mario Monti. Al Tesoro – più pragmaticamente – hanno già iniziato a fare i conti del tesoretto garantito dalla schiarita sul fronte dei tassi. Il calo dello spread consentirà al Belpaese di “risparmiare” in tre anni qualcosa più di 50 miliardi di interessi (2.700 euro a italiano, neonati e centenari compresi) sui 2mila miliardi del debito pubblico tricolore. «Il quadro è disteso, ma siamo ancora a valori non accettabili», ha detto ieri l’incontentabile Monti. Il suo obiettivo però è a portata di mano: «Punto a uno spread simbolico a 287 punti, la metà dei 574 a cui il governo ha iniziato il suo lavoro un anno fa».
UN ANNO DA BRIVIDI
L’emergenza naturalmente, non è alle spalle. I bei tempi (marzo 2011, mica un secolo fa) in cui pochi italiani sapevano cosa fosse lo spread e lui viaggiava senza troppi sussulti poco sopra quota 100 sono lontanissimi. La rottura della soglia psicologica dei 300 punti però regala un gran sospiro di sollievo ai conti dello Stato.
La fredda logica dei numeri spiega bene lo scampato pericolo. Un anno fa Roma era costretta a pagare tassi del 6,5% per riuscire a collocare sul mercato i Bot semestrali, i Btp rendevano 167 basis point in più dei Bonos spagnoli e viaggiavano con rendimenti superiori al 7%. Quota oltre la quale, detto per inciso, Grecia, Irlanda e Portogallo sono state costrette ad alzare bandiera bianca e a chiedere l’aiuto della Troika. Oggi le cose vanno decisamente meglio: la febbre da spread si è quasi dimezzata, l’Italia ha superato di nuovo la Spagna e l’ultima asta dei Buoni del Tesoro a sei mesi si è chiusa alla grande, con rendimenti allo 0,91%.
I RISPARMI DELLO STATO
Le ferite della crisi dei debiti sovrani, però, ci metteranno un po’ a rimarginarsi. La spese per interessi del 2012 – secondo il Documento di economia e finanza – sarà di 86 miliardi (il 5,5% del pil), otto in più dello scorso anno, scontando la fiammata di fine 2011 e un differenziale
con i Bund rimasto a lungo a flirtare con quota 500. Il Salva-Italia del Governo, lo scudo anti- spread di Mario Draghi e il salvagente internazionale per la Grecia hanno però spento la spia dell’allarme rosso: ogni calo di 100 punti dello spread – calcola Banca d’Italia – regala alle casse dello Stato 3,1 miliardi di risparmi sul servizio del debito il primo anno, 6,2 il secondo e 8 il terzo. Un tesoretto piovuto dal cielo che il governo Monti lascerà in eredità al nuovo esecutivo. Arriverà davvero? Intanto ci si può accontentare dei primi segnali positivi: il fabbisogno statale è calato a novembre a 4,3 miliardi contro gli 8,5 dello stesso
mese dell’anno precedente e si è ridimensionato (si fa per dire) da gennaio a 62,9 miliardi contro i 69,4 dei primi 11 mesi 2011.
I CONTI DELLE FAMIGLIE
Il calo dello spread è una buona notizia anche per le tasche delle famiglie italiane. Le rate del mutuo per la casa, quelle del finanziamento per l’auto o del prestito contratto per pagare le tasse universitarie dei figli sono legate a filo doppio ai tassi di mercato. Salgono insieme e (almeno in teoria) scendono insieme.
Peccato che questa volta non sia andata proprio così. Vediamo: il livello medio dei tassi dei mutui immobiliari, conferma Banca d’Italia, è salito dal 3,4% del 2010 al 4,2% di oggi. Perché? Perché i tassi e i rischi sono saliti. E la crisi dei debiti sovrani ha convinto le banche ad aumentare dall’1,5% di tre anni fa al 4,1% lo spread che applicano all’Euribor a tre mesi, il parametro su cui si calcolano gli interessi dei prestiti per la casa. Un salasso che non a caso ha fatto crollare del 44% le richieste di mutui.
Fin qui tutto regolare. Il problema è che quando la forbice con i Bund ha iniziato a ridursi i risparmiatori – almeno per ora – non ne hanno tratto alcun beneficio. Se lo spread scende di 100 punti, assicura Banca d’Italia, la rata del mutuo dovrebbe calare di 30 centesimi dopo più o meno tre mesi. E invece no. Malgrado l’Euribor sia crollato dall’1% allo 0,19% di oggi, i consumatori pagano oggi tassi superiori di 80 centesimi rispetto a quelli di fine 2010, quando lo spread viaggiava ai livelli attuali, Un po’ come accade per la benzina e il prezzo del petrolio. I costi – almeno in apparenza – vengono scaricati subito sulle spalle dei clienti finali mentre i risparmi arrivano nelle loro tasche, se ci arrivano, con molto ritardo e con il contagocce.
I GUAI DELLE IMPRESE
La bufera dello spread è costata tantissimo pure alle imprese tricolori. E – come sta succedendo per le famiglie – anche nel loro caso i benefici del suo calo faticano a materializzarsi. Nel 2011, secondo il Crif, l’Italia Spa ha pagato un pedaggio di 15 miliardi di interessi in più al rialzo dei tassi. Non solo. Le banche – che faticano ancora adesso a finanziarsi sul mercato malgrado l’iniezione da mille miliardi di liquidità garantita dalla Bce – hanno stretto i cordoni della borsa. E i prestiti alle imprese si sono contratti di 38 miliardi di euro in dodici mesi.
E’ cambiato qualcosa con il recupero dei Btp sui Bund? Poco. In teoria, sostiene sempre via Nazionale, i 100 punti classici di spread in meno dovrebbero (dovrebbero, appunto) trasformarsi in tre mesi in un taglio di 70 centesimi ai tassi per le aziende. Non è così. A novembre 2011 – quando lo spread volava nella stratosfera di quota 575 – gli imprenditori tricolori pagavano interessi medi (dati Bce) del 5,85%. Oggi, 271 punti di spread più sotto, l’asticella è scesa solo di pochi centesimi al 5,63%. Spiccioli. Specie per un mercato continentale dove le società italiane – complice proprio il caro-debito e il rischio paese – viaggiano con il freno a mano tirato. Un imprenditore che va in banca per chiedere un prestito tra gli uno e i cinque milioni paga nel Belpaese in media un tasso vicino al 6,2%. Il 2% in più dei suoi colleghi francesi e tedeschi. Lo spread tra Btp e Bund sarà pure sceso sotto quota 300, ma quello tra l’Italia e il resto del Vecchio continente fatica ancora a tornare a livelli sostenibili.
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