«Lotterò nel nome di mamma Benazir»

by Sergio Segio | 28 Dicembre 2012 9:26

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Nel candido e immenso mausoleo di famiglia, la donna che fu due volte premier (e in entrambe non completò il mandato per accuse di corruzione al suo governo) riposa accanto al padre Zulfikar Ali Bhutto, il primo leader pachistano democraticamente eletto, che guidò il Paese dal 1971 al 1977. Entrambi furono uccisi: lei in un attentato suicida a Rawalpindi alla vigilia delle elezioni, cinque anni fa, per volere di un mandante che ancora non ha nome (o meglio di nomi ne ha troppi, ma non ufficiali: i sospettati vanno dai talebani all’entourage dell’ex presidente Musharraf). Lui, Zulfikar, dal dittatore Zia Ul Haq che dopo il golpe militare lo imprigionò e lo fece impiccare. «Una dinastia dalla pesante eredità  politica», è il commento generale dei media pachistani. Che concordano su un altro punto: «Se ti chiami Bhutto o Gandhi non hai scelta, puoi essere preparato o meno ma il tuo destino è quello. Nella nostra regione del mondo il potere politico è dinastico anche se non ci piace».
E Bilawar, inevitabilmente, è al nonno e soprattutto alla madre che si è ispirato nel suo primo discorso, davanti a centinaia di migliaia di persone osannanti che più che il suo nome invocavano infatti quello di Benazir. «Lotterò per la democrazia nel nome di lei», ha esordito ieri. «Sono l’erede dei martiri, e Bhutto non è solo un nome, è un’ossessione, una passione, un amore. Potete incatenarci alla terra ma noi continueremo ad avanzare. Potete uccidere un Bhutto ma altri mille ne sorgeranno», ha continuato il ragazzo sul palco, a fianco del gotha del Ppp, il Partito popolare pachistano fondato dal nonno, di cui Bilawal è già  copresidente (onorifico per ora). Troppo giovane per candidarsi alle prossime elezioni previste in primavera, il giovane Bhutto avrà  un ruolo simbolico. Ma proprio come simbolo guiderà  la campagna del Ppp che dal 2008 è al governo e ora è sempre più impopolare.
Il partito apertamente contrario all’estremismo islamico (come tutti i Bhutto) è accusato della disastrosa situazione economica e del peggiorare della sicurezza: la crisi ha aumentato la già  diffusa miseria e portato a ore quotidiane di assenza di energia elettrica; lo scontro con i talebani che dal Nord si sono diffusi in tutto il Paese ha causato migliaia di morti anche tra i civili. Il presidente Zardari, padre di Bilawal, è ancora meno gradito del suo partito perché ritenuto incapace e pure corrotto (fu in carcere e poi esule a Dubai per vent’anni con quest’ultima accusa, che lui ha sempre negato). E non potrà  schierarsi nelle imminenti elezioni perché presidente, ruolo super partes che per legge gli impedisce di fare campagna per il suo partito. Infine Asif Ali Zardari, sostiene l’editorialista pachistano Kamran Shafi, «non ha un suo carisma, la gente non lo vede come un uomo politico esperto ma solo come il “vedovo” di Benazir».
Anche Bilawal, per ora, è solo il «figlio di Benazir». Ma la speranza di molti, a partire dal Ppp, è che la tradizione dinastica di questa regione sia ancora una volta l’elemento vincente. «Mio figlio ha finito gli studi teorici e ora deve studiare il suo Paese, deve imparare da tutti voi» ha detto ieri Zardari nel presentarlo al comizio. Qualcuno già  scommette che presto quel ragazzo sarà  il vero rivale del padre-presidente.

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