by Sergio Segio | 8 Dicembre 2012 7:55
ROMA — Che delusione! Mario Monti ci aveva creduto. Gli avevano raccontato che Berlusconi non si sarebbe ricandidato. Che il Pdl sarebbe stato traghettato verso lidi più istituzionali di quelli emotivi di un campagna che si profila come un revival. Che Alfano stava formando una nuova classe dirigente, più giovane e sicuramente europeista, meno incline a considerare la Ue come fonte di guai.
«Che delusione», ha detto Monti apprendendo dell’evoluzione del Pdl, comunicando la sua amarezza per l’assenza di una struttura del partito in grado di fare argine alle scelte del Cavaliere, in grado di un minimo di coerenza. Almeno rispetto ai dubbi, alle dichiarazioni pubbliche e alle chiacchierate private degli ultimi mesi, che lo avevano coinvolto in prima persona.
Sino a poche settimane fa, Berlusconi in testa, una fetta di Pdl chiedeva in modo riservato al premier di candidarsi, per rappresentare il centrodestra. Ora invece si prepara una campagna elettorale di segno opposto: un modello politico, lui, è divenuto un bersaglio.
Declinare gli argomenti privati del presidente del Consiglio, almeno quelli condivisi a caldo, nel giorno della svolta del partito dell’ex premier, significa incrociare alcune delle riflessioni che è possibile leggere o ascoltare pubblicamente in bocca ai pochi esponenti del Pdl che si sono distinti: da Mario Mauro a Franco Frattini, a tutti coloro che oggi ritengono quella di Berlusconi un’involuzione, che trasmette incertezza ai mercati finanziari, che non è in grado di «scongelare» i voti moderati dall’astensionismo, che certifica l’assenza di una leadership nuova.
I vertici del Partito popolare europeo, come Monti, si auguravano uno scenario diverso. Anche a Bruxelles, se verranno confermati i tratti di una campagna antieuropea, con venature populiste, si legge la decisione del Cavaliere come un’occasione persa. Se il Pd oggi appare irraggiungibile, una diversa offerta politica nel centrodestra avrebbe almeno potuto tenere in vita le ipotesi di un Monti bis, apparentemente tramontate.
A Palazzo Chigi, nel suo staff, lo descrivono «imperturbabile». Preoccupato, sì, ma per i riflessi internazionali delle scelte del Pdl. Per il resto concentrato come sempre sul lavoro, attento a tutti i provvedimenti che ancora devono essere approvati in Parlamento, non ultimo il decreto sull’Ilva, al quale ha lavorato moltissimo e in prima persona. C’è chi gli consiglia di recarsi in Parlamento, per declinare almeno un elenco delle cose necessarie per il Paese, prima di sciogliere le Camere. Se così sarà , certamente sarà uno mossa concordata con Napolitano, alle cui scelte si è rimesso.
In ogni caso, se come sembra Berlusconi non si spingerà sino a sfiduciare l’esecutivo, il Professore resterà a Palazzo Chigi ancora qualche mese. Con un depotenziamento politico che potrebbe avere meno effetti negativi di quelli che appaiono: il «lavoro da completare», cui tiene Monti, riguarda anche l’implementazione di decine di provvedimenti vigenti ma non ancora attuati in modo compiuto. Ma ci sono anche tre Consigli europei molto importanti, da qui a marzo, e forse anche una missione commerciale in Sudamerica.
Uscendo dalla Scala, ieri sera, con accanto la moglie, Mario Monti si è limitato a una battuta: «Il Re Sole si è un po’ allontanato da me». Gli era stato fatto notare: «La vediamo un po’ pallido». O forse Luigi XIV è il Cavaliere redivivo.
Marco Galluzzo
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