«I pm di Palermo? Sempre difesi»

by Sergio Segio | 12 Dicembre 2012 9:26

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ROMA — «Come Associazione nazionale magistrati abbiamo sempre difeso i principi di autonomia e indipendenza della giurisdizione e il diritto-dovere dei pubblici ministeri di indagare in ogni direzione; anche quelli di Palermo che cercano la verità  sui fatti drammatici collegati alle stragi di mafia», dice il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli.
Sarà , ma il pm Nino Di Matteo, fra i titolari del procedimento sulla cosiddetta trattativa fra Stato e mafia, s’è dimesso dagli incarichi direttivi della sezione locale dell’Anm per protesta contro il vostro silenzio di fronte agli attacchi. Che cosa risponde?
«Che dice cose non vere. Mi dispiace molto, ma sbaglia. È falso che siamo rimasti in silenzio. Ogni volta che c’era da intervenire siamo intervenuti a loro difesa, come quando qualche mese fa il presidente del Consiglio ipotizzò che c’erano stati degli abusi nelle intercettazioni telefoniche. E quando un membro “laico” del Csm voleva sanzionare il procuratore generale di Caltanissetta Scarpinato per il suo intervento nel ventennale della morte di Borsellino ci siamo espressi a suo sostegno».
Per il conflitto sollevato dal presidente della Repubblica davanti alla Corte costituzionale non è andata così.
«Perché quel conflitto non è stato un attacco né un’aggressione ai pm. Su un argomento che si prestava a interpretazioni diverse, il capo dello Stato s’è rivolto alla corte costituzionale per avere un pronunciamento chiaro. Ci siamo rimessi al giudizio della Consulta, così com’è accaduto di fronte all’eventualità  del conflitto sollevato dai pm di Taranto contro il decreto del governo sull’Ilva. Che cosa c’era da difendere?».
Forse l’operato di magistrati che, lamenta Di Matteo, «sono accusati di aver violato le prerogative della più alta carica dello Stato, quando invece hanno agito nel pieno rispetto delle norme». Perché non l’avete fatto?
«Guardi che i conflitti di attribuzione sono molto frequenti, e se la Corte dà  ragione a una parte, non significa che l’altra ha commesso atti illegittimi. Si tratta di fare chiarezza su materie che evidentemente sono opinabili, e non si può leggere tutto nell’ottica dello scontro o di una guerra. Se poi ci si riferisce a chi, prendendo spunto dal ricorso del presidente e dalla sentenza della Corte, ha espresso critiche nei confronti dell’operato dei colleghi, allora bisogna distinguere: le critiche sono sempre legittime, soprattutto se ragionate e motivate; altra cosa sono gli attacchi e gli insulti, che mettono in discussione l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Questi ultimi non sono accettabili, ma quando si sono verificate abbiamo sempre reagito».
Veramente adesso è Di Matteo che vi accusa di essere complici di questi attacchi, e di chi vuole una magistratura «pavida, burocratizzata e attenta a non disturbare i potenti». Il tutto per calcoli di opportunità  politica. Che ne pensa?
«Si tratta di illazioni gratuite, infondate e anche un po’ offensive, che io e tutta la Giunta dell’Anm respingiamo con grande fermezza. Sono affermazioni inaccettabili. Il problema è che il collega Ingroia, bollando la decisione della Consulta come una sentenza politica, ha messo in dubbio l’imparzialità  di un organo di garanzia di cui, negli anni scorsi, abbiamo sempre difeso le prerogative di fronte ai continui attacchi di alcune parti politiche. In questo modo è lui a scendere sul piano della disputa politica, non noi».
Non sarà  che con i pm di Palermo avete una questione aperta da quando criticaste i loro interventi ad appuntamenti pubblici come la festa del quotidiano Il Fatto, e adesso siamo arrivati alla resa dei conti?
«Noi non dobbiamo regolare proprio nulla. Di fronte a certe esternazioni, abbiamo soltanto ricordato che quando indagini doverose si caricano di ulteriori significati, sorgono dei problemi. Se l’esposizione pubblica va al di là  di una certa quota fisiologica e inevitabile, la funzione giudiziaria rischia di mescolarsi con la ricerca del consenso popolare. E questo non va bene. Non perché bisogna difendere questa o quell’altra carica istituzionale, ma perché le indagini hanno presupposti e obiettivi diversi. Lo dico a sostegno del lavoro dei pm di Palermo, non contro, come il collega Di Matteo mostra di voler credere».
Giovanni Bianconi

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«I pm di Palermo? Sempre difesi»

by Sergio Segio | 12 Dicembre 2012 9:26

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ROMA — «Come Associazione nazionale magistrati abbiamo sempre difeso i principi di autonomia e indipendenza della giurisdizione e il diritto-dovere dei pubblici ministeri di indagare in ogni direzione; anche quelli di Palermo che cercano la verità  sui fatti drammatici collegati alle stragi di mafia», dice il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli.
Sarà , ma il pm Nino Di Matteo, fra i titolari del procedimento sulla cosiddetta trattativa fra Stato e mafia, s’è dimesso dagli incarichi direttivi della sezione locale dell’Anm per protesta contro il vostro silenzio di fronte agli attacchi. Che cosa risponde?
«Che dice cose non vere. Mi dispiace molto, ma sbaglia. È falso che siamo rimasti in silenzio. Ogni volta che c’era da intervenire siamo intervenuti a loro difesa, come quando qualche mese fa il presidente del Consiglio ipotizzò che c’erano stati degli abusi nelle intercettazioni telefoniche. E quando un membro “laico” del Csm voleva sanzionare il procuratore generale di Caltanissetta Scarpinato per il suo intervento nel ventennale della morte di Borsellino ci siamo espressi a suo sostegno».
Per il conflitto sollevato dal presidente della Repubblica davanti alla Corte costituzionale non è andata così.
«Perché quel conflitto non è stato un attacco né un’aggressione ai pm. Su un argomento che si prestava a interpretazioni diverse, il capo dello Stato s’è rivolto alla corte costituzionale per avere un pronunciamento chiaro. Ci siamo rimessi al giudizio della Consulta, così com’è accaduto di fronte all’eventualità  del conflitto sollevato dai pm di Taranto contro il decreto del governo sull’Ilva. Che cosa c’era da difendere?».
Forse l’operato di magistrati che, lamenta Di Matteo, «sono accusati di aver violato le prerogative della più alta carica dello Stato, quando invece hanno agito nel pieno rispetto delle norme». Perché non l’avete fatto?
«Guardi che i conflitti di attribuzione sono molto frequenti, e se la Corte dà  ragione a una parte, non significa che l’altra ha commesso atti illegittimi. Si tratta di fare chiarezza su materie che evidentemente sono opinabili, e non si può leggere tutto nell’ottica dello scontro o di una guerra. Se poi ci si riferisce a chi, prendendo spunto dal ricorso del presidente e dalla sentenza della Corte, ha espresso critiche nei confronti dell’operato dei colleghi, allora bisogna distinguere: le critiche sono sempre legittime, soprattutto se ragionate e motivate; altra cosa sono gli attacchi e gli insulti, che mettono in discussione l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Questi ultimi non sono accettabili, ma quando si sono verificate abbiamo sempre reagito».
Veramente adesso è Di Matteo che vi accusa di essere complici di questi attacchi, e di chi vuole una magistratura «pavida, burocratizzata e attenta a non disturbare i potenti». Il tutto per calcoli di opportunità  politica. Che ne pensa?
«Si tratta di illazioni gratuite, infondate e anche un po’ offensive, che io e tutta la Giunta dell’Anm respingiamo con grande fermezza. Sono affermazioni inaccettabili. Il problema è che il collega Ingroia, bollando la decisione della Consulta come una sentenza politica, ha messo in dubbio l’imparzialità  di un organo di garanzia di cui, negli anni scorsi, abbiamo sempre difeso le prerogative di fronte ai continui attacchi di alcune parti politiche. In questo modo è lui a scendere sul piano della disputa politica, non noi».
Non sarà  che con i pm di Palermo avete una questione aperta da quando criticaste i loro interventi ad appuntamenti pubblici come la festa del quotidiano Il Fatto, e adesso siamo arrivati alla resa dei conti?
«Noi non dobbiamo regolare proprio nulla. Di fronte a certe esternazioni, abbiamo soltanto ricordato che quando indagini doverose si caricano di ulteriori significati, sorgono dei problemi. Se l’esposizione pubblica va al di là  di una certa quota fisiologica e inevitabile, la funzione giudiziaria rischia di mescolarsi con la ricerca del consenso popolare. E questo non va bene. Non perché bisogna difendere questa o quell’altra carica istituzionale, ma perché le indagini hanno presupposti e obiettivi diversi. Lo dico a sostegno del lavoro dei pm di Palermo, non contro, come il collega Di Matteo mostra di voler credere».
Giovanni Bianconi

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