by Sergio Segio | 6 Dicembre 2012 8:35
«Considera che per produrre un milione di tonnellate di carta servono circa 400mila ettari di piantagione di alberi da tagliare», dice Aidil Fitri, ricercatore di un’organizzazione ambientalista di Sumatra: insieme ad altri due attivisti sociali e ambientali venuti dall’Indonesia era a Roma, un paio di settimane fa, ospite dell’ong italiana Terra!, proprio per denunciare questo nuovo attacco alle foreste del loro paese – e per sottolineare che quella carta finisce in buona parte nelle nostre cartolerie, o nei libri che leggiamo. Con quelle due cartiere, dice Fitri, saranno alimentate da legname proveniente da Riau, provincia centrale dell’immensa isola di Sumatra, un tempo tra le più ricche di foreste pluviali; ormai è tra le più devastate. Spiega Muslim, coordinatore dell’organizzazione Jikalahari («Rete per la salvezza delle foreste»), che secondo una loro indagine nel solo 2011 a Riau sono stati tagliati oltre 82mila ettari di foresta naturale, quasi tutta (il 95%) di foresta torbiera che secondo le leggi indonesiane è protetta. La realtà è che del milione e 600mila ettari di foresta torbiera esistente nella provincia di Riau, solo il 40% è ancora protetto, mentre il resto è destinato a scomparire. E l’effetto della deforestazione è già evidente, nella provincia di Riau, nell’aumento di inondazioni e incendi o nel declino della fauna selvatica. Principali protagonisti di questa corsa a tagliare le foreste pluviali di Sumatra sono due grandi aziende della carta e cellulosa, App (Asia Pulp and Paper) e la sua concorrente, April: entrambe hanno concentrato le loro piantagioni proprio nel Riau. E’ un ciclo inesorabile: l’azienda ottiene una concessione per una cartiera e per realizzare una piantagione di alberi che dovrà alimentarla. In teoria, le piantagioni sono permesse solo su terreni già deforestati e degradati: ma spesso non è così, e interi tratti di foresta naturale finiscono sotto le motoseghe. L’organizzazione di Adil Fitri ha documentato che una delle piantagioni affiliate alla App a Sumatra meridionale, la Rimba Mas Hutani nella zona di Merang, si trova su uno strato di torba profondo fino a 6 metri: ottimo legno tropicale è finito nelle cartiere della App a Riau. E’ un esempio dei «crimini forestali» denunciati da Walhi, rete di 420 organizzazioni per la giustizia ambientale sparse in tutta l’Indonesia: Hariansyah Usman, coordinatore di Walhi a Riau, sottolinea che 7 aziende del gruppo App e altrettante del gruppo April sono state coinvolte in casi di taglio illegale di legname; e numerose aziende di entrambi i gruppi sono coinvolte in casi di corruzione. Cita un certo caso che si trascina dal 2004: «Anche quando è stato riconosciuto che la concessione era stata ottenuta in modo fraudolento, corrompendo dei funzionari, le aziende vanno avanti, la concessione resta valida, ottengono perfino il certificato di legalità del loro legname».
Con queste premesse, si capisce che gli attivisti indonesiani siano in allarme per le due nuove cartiere. La prima sarà costruita da una società del gruppo App, che ha ottenuto una superfice di 5.542 ettari per costruire lo stabilimento e un adiacente porto; la seconda è della società Oki, e occuperà 2.800 ettari di terreni. In entrambi i casi, la popolazione non ha avuto nessuna informazione su cosa avverrà dei terreni che coltivano. E poi, insistono i tre attivisti indonesiani, nessuno dice da dove verrà il legname necessario: App non ha abbastanza piantagioni ad alimentare il nuovo impianto. «Significa che per far lavorare quelle cartiere andranno a tagliare illegalmente in zone protette», conclude Fitri. Il sistema della corruzione continua a governare l’Indonesia.
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