L’aut aut di Vendola al Pd «Agenda Monti? Non ci sto»

by Sergio Segio | 12 Dicembre 2012 7:28

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ROMA — Dopo le rassicurazioni che lunedì Pier Luigi Bersani ha voluto presentare ai mercati e all’Europa garantendo fedeltà  agli «impegni molto rigorosi» presi dal governo Monti in materia economica e fiscale, ieri la sinistra della coalizione ha lanciato i primi segnali di disagio. «Se c’è l’agenda Monti, io non ci sto — ha fatto sapere Nichi Vendola —. Alle primarie ha vinto l’agenda Bersani. Se poi abbiamo scherzato, dobbiamo dirlo al nostro popolo: sono tre milioni di italiani che andrebbero via». Inoltre, il leader di Sel ha anche voluto sottolineare cosa pensa del centro: «Lo dico chiaramente: se c’è Casini, non ci sto io in una futura alleanza di governo».
Qualcuno nel centrosinistra commenta che tutti i nodi vengono al pettine, che Bersani avrà  un bel da fare per tenere insieme l’unione formata per le primarie. Per altri, l’uscita di Vendola potrebbe essere la reazione al fatto che forse Monti ha posto alle forze politiche che lo hanno sostenuto una sorta di memorandum dei vincoli verso l’Europa, indispensabili se l’Italia fosse costretta a ricorrere al Fondo salva Stati: garanzie, per esempio, che non ci sarà  nessuna marcia indietro su pensioni, flessibilizzazione del lavoro, Imu.
Il segretario del Pd insiste nel dichiarare la sua adesione a quegli impegni («La mia ricetta contro la crisi? Quella di Monti più qualcosa: sì al rigore, ma anche lavoro ed equità », dice al Tg1), smussando a sinistra con un «cercheremo con gli altri partiti progressisti di migliorare la politica europea, perché la sola austerità  non basta». Però ribadisce anche che, pur essendo certo del buon esito numerico anche al Senato, «ci rivolgeremo a formazioni di centro europeiste».
Parole che probabilmente non saranno sufficienti a tranquillizzare Vendola né, forse, un’ala del suo partito; ma che piacciono alle componenti più moderate del Pd. Come Pietro Ichino: «Bersani ha tutto l’interesse ad assumersi pienamente la responsabilità  di fronte ai nostri interlocutori stranieri di proseguire nella strategia europea dell’Italia disegnata da Mario Monti: innanzitutto perché questo è ciò che lo legittima a succedergli come presidente del Consiglio; e poi perché sa benissimo che questo è quanto gli chiedono i suoi omologhi tedesco e francese. D’altra parte, se non lo facesse, si aprirebbero una crepa con l’Europa e una crisi grave in seno al centrosinistra italiano, e Bersani rischierebbe di capottare a un passo dal traguardo». E se la crisi si aprisse con il leader di Sel? «Per le primarie, Vendola ha accettato il principio maggioritario all’interno del centrosinistra. Sa di essere minoranza. Non credo che lo farà , ma, se riterrà  di autoescludersi, ce ne faremo una ragione».
Più o meno sulla stessa linea è anche Giorgio Tonini: «L’ipotesi Casini non esiste. Invece, ho sempre pensato che l’agenda Monti, pur con i suoi errori, abbia ricostruito la credibilità  dell’Italia. Ora tocca a Bersani costruire un equilibrio tra gli alleati della coalizione. Gli ultimatum non sono compatibili con lo spirito delle primarie, siamo tutti tenuti alla lealtà  di coalizione per vincere. Perciò spero che Vendola continui a dare il suo contributo, come noi che abbiamo votato Renzi».

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