L’assedio vero è la crisi sociale

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Più che alla nazione, risponde al suo partito. E resta debole la giustificazione del decreto con cui ha assunto tutti i poteri «per evitare un golpe militare» Perché il presidente egiziano Morsi ha emanato un editto che lo ha posto in una posizione inattaccabile, super partes, addirittura sopra la magistratura? Quali sono le motivazioni? Il ruolo di primo piano che Morsi ha avuto durante l’ultimo conflitto a Gaza è stato sfruttato per dirimere una serie di problemi di primaria importanza per i Fratelli Musulmani: l’annullamento del parlamento e dell’Assemblea Costituente; l’insuccesso delle politiche di governo per migliorare le condizioni economiche nel paese e per apportare quelle riforme che la piazza chiedeva. Morsi ha pensato di usare il successo internazionale per risolvere alcune diatribe interne di fondamentale importanza.
Lo scioglimento dei due rami del parlamento è stato deciso dalla Corte Costituzionale egiziana, la quale ha giudicato illegittima la legge elettorale adottata nelle elezioni parlamentari del novembre 2011 che inibiva la candidatura delle persone che fossero sospettate di essere colluse con il vecchio regime, o che vi avessero solo collaborato. Quindi, molti candidati sono stati estromessi a priori dall’esercizio della loro libertà  individuale di espletamento dei propri diritti politici, sulla base del solo sospetto, andando incontro al principio democratico che nessuno è colpevole fino a quando non sia stata emanata una sentenza. Questo modo di agire è più consono alle dittature, come quella di Mubarak, più che a uno giovane Stato che voglia incamminarsi verso la democrazia.
L’annullamento e il conseguente scioglimento delle camere parlamentari, rappresentano uno smacco di grandi proporzioni per i Fratelli musulmani e per i salafiti. I primi hanno ottenuto in parlamento il 47% dei seggi, i secondi il 23%. Indire nuove elezioni non garantirebbe ai due movimenti, e ai loro partiti politici, la certezza di raggiungere nuovamente queste elevate percentuali. Esiste una paura di fondo dei FM e dei salafiti di aver perso il collante con la società  per i ripetuti fallimenti nell’attuazione delle riforme politiche e sociali.
Negli ultimi mesi i Fratelli musulmani hanno visto un calare crescente della loro popolarità , perché non sono stati in grado d’intraprendere nessuna riforma politica di spessore. I malumori tra la gente sono andati crescendo, perché le aspettative risposte nella Fratellanza sono state tutte disilluse. C’è stata una completa inazione. Le estenuanti discussioni retoriche dentro il parlamento, facevano ridere e costernare la stessa popolazione, quando alcuni salafiti si mettevano a pregare nel mezzo dell’aula parlamentare. I Fratelli musulmani si sono solamente sostituiti agli uomini di Mubarak, occupandone diversi posti chiave, ma agli occhi di una buona fetta della popolazione non hanno fatto nulla, e lo scontento è crescente. Lo stesso Morsi ha cercato di ottenere consenso più dai successi internazionali (viaggi in Usa, Europa, Giappone e Cina … e in ultimo il ruolo svolto nella guerra a Gaza) che dall’azione politica del suo governo per migliorare la condizione di quel 45% di egiziani che vive con circa due dollari al giorno.
La Fratellanza, da organizzazione segreta e perseguitata negli ultimi sessant’anni, è dovuta uscire allo scoperto, mostrarsi in pubblico, prendere decisioni sotto gli occhi di tutti e affrontare il giudizio dei mass media nazionali e internazionali. Non ha potuto «nascondere» i dissensi e i malumori dei critici dentro l’organizzazione come accadeva una volta. Apparire in pubblico dà  sicuramente visibilità , prestigio, ma può risultare una lama a doppio taglio, poiché implica delle responsabilità , dei doveri, di rendere conto del proprio operato e delle proprie azioni. La democrazia ha le sue regole e le sue dinamiche, che fino ad un certo punto possono essere segrete.
Sarebbe da capire quale è stato il calcolo politico nell’emanare la dichiarazione costituzionale in cui il presidente diveniva inattaccabile. Molto probabilmente è stata una mossa studiata da Morsi insieme alla Fratellanza, partita dalla giunta superiore dell’organizzazione; ogni decisione presa da quest’ultima diventa legge per i membri associati. Visto sotto quest’ottica, anche Morsi viene considerato a tuttora un affiliato, e la sua forma mentis rientra nella struttura mentale dei Fratelli musulmani. Il presidente continua a pensare di fare ancora parte della Fratellanza, di esserne un membro. Così facendo, crede di dover rendere conto delle sue decisioni e delle sue politiche solo al suo partito, e non alla nazione, altrimenti non si capirebbe il perché di tale editto. La giustificazione, diramata dall’ufficio stampa dell’entourage del presidente, è stata quella di scongiurare un golpe militare, e che i poteri inappellabili del presidente fossero di natura transitoria.
Come giustificazione sembra alquanto debole, perché non si capisce per quale motivo i militari dovrebbero preoccuparsi di un presidente super partes se avessero l’interesse di estrometterlo e di allontanarlo dalla vita politica. Se l’esercito volesse attuare un colpo di Stato, non guarderebbe in faccia nessuno, neanche un nuovo faraone. Agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, e soprattutto occidentale, farebbe maggior scalpore che dei generali spodestassero un presidente democratico che un nuovo dittatore.
Quindi, cosa si nasconde dietro la mossa politica di Morsi? L’unica spiegazione che sembra plausibile sarebbe quella di proteggere l’organizzazione da cui proviene, mantenendo e consolidando l’attuale parlamento.
Il malcontento degli egiziani, ma soprattutto dei giovani della rivoluzione, si riversa in piazza Tahrir già  dal 19 novembre, in un sit-in pacifico della durata di cinque giorni, per commemorare i morti in via Mohamed Mahmud dello scorso anno. Allo stesso tempo chiedono che l’Assemblea Costituente sia più rappresentativa delle forze politiche e della composizione eterogenea del paese. Infatti recentemente i partiti laici e la chiesa copta hanno abbandonato i lavori costituenti perché accusano i Fratelli musulmani e i salafiti di volere redigere una Costituzione solo per rispecchiare i propri interessi e non quelli reali della nazione. I ragazzi in piazza, protestano contro l’incapacità  dell’Assemblea Costituente di redigere una nuova Carta fondamentale su cui dovrebbe sorgere il nuovo Egitto. La scadenza dei termini della stesura della Costituzione che era quasi agli sgoccioli, è stata prolungata di altri due mesi proprio nell’editto emanato da Morsi il 22 novembre. L’approvazione della Carta Costituzionale avvenuta il 30 novembre, non sembra rispecchiare le reali richieste della piazza, che chiede una Costituzione laica e democratica. Sarà  da capire la reale forza di Tahrir e dei partiti laici, nel referendum di approvazione della nuova Costituzione (da tenere entro 30 giorni, il prossimo 15 dicembre).
Oggi i ragazzi in piazza chiedono che una più equa rappresentazione sia presente nell’Assemblea, che Morsi ritiri l’editto e che i responsabili della morte dei martiri della rivoluzione siano giudicati. Anche i giudici, penalisti, civili, amministrativi si sono uniti al coro di Tahrir, indicendo uno sciopero generale contro l’atto unilaterale e inaspettato del Presidente. Per tutta risposta, il governo di Morsi si comporta allo stesso modo dello Scaf (Consiglio Superiore delle Forze Armate) che ha governato durante il periodo transitorio successivo alle dimissioni di Mubarak: costruisce muri invece di cercare il dialogo, lancia lacrimogeni sulla piazza, attacca con cariche della polizia. Metodi ben conosciuti dai ragazzi che sono a Tahrir già  dal tempo di Mubarak prima e quello dei militari poi.
La situazione a lungo andare può divenire veramente incandescente. L’atto di Morsi, e la conseguente tensione sociale che si è venuta a creare, può veramente portare il paese allo sbando, richiedendo un pugno forte da parte dei generali. Se Morsi, emanando la sua dichiarazione costituzionale, voleva scongiurare un golpe di Stato, ha ottenuto proprio l’esatto contrario.


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Fosse un calciatore, il regionalismo sarebbe uno di quei giocatori che segnano a ripetizione venendo celebrati da tutti i media, poi scompaiono completamente per qualche partita, per poi tornare mettendo a segno un’incredibile tripletta. Perdonateci il paragone azzardato; ma la metafora calcistica rende alla perfezione l’altalena di successo che ha riscosso il regionalismo europeo nel corso dell’ultimo ventennio.

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