La vittoria a metà  di Morsi stretto fra laici ed esercito

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Atto dovuto: ma anche senza irregolarità  (che pare siano state minori e saranno oggetto d’inchiesta), i Fratelli musulmani e il loro raìs Mohammed Morsi avrebbero vinto. La bassa affluenza — meno di un terzo degli aventi diritto, di cui il 64% ha votato «sì» â€” segnala che alle urne sono andati soprattutto i sostenitori della Fratellanza, la forza politica più organizzata e disciplinata d’Egitto. Ma organizzazione e disciplina interne non le basteranno per governare davvero il Paese; nemmeno le elezioni parlamentari, da indire entro due mesi, risolveranno molto se il clima non cambia. Le previsioni degli analisti sono infatti che la tanto attesa stabilità  politica ed economica resti, per ora, un miraggio. Nonostante sia questo l’obiettivo ribadito dal presidente e atteso con sempre minore pazienza da milioni di egiziani e dal resto del mondo.
L’imposizione di quel referendum e ora della Carta, nonostante l’opposizione di laici, cristiani, rivoluzionari e gran parte dei magistrati e dei media, segnala infatti che Morsi e i suoi non hanno imparato le due grandi lezioni dell’era post-Mubarak. La prima: nessuno degli attori principali — gli islamici, i generali, la piazza, l’opposizione politica con le sue molte componenti, gli uomini legati al vecchio regime — è in grado di mantenere il potere da solo, le dittature sono finite. La seconda: le alleanze tra le varie forze sono mutevoli, mai garantite. Basta guardare l’esercito: dopo aver abbandonato l’ultimo generale-raìs, ha assunto il potere contro la piazza e contro la Fratellanza, poi ha accettato di tornare nelle caserme barattando con Morsi favori reciproci. Ora i generali assistono senza intervenire alla crisi del presidente islamico, il patto sembra tenere. Ma nessuno scommette che sarà  sempre così. Un avvertimento pubblico c’è già  stato, giorni fa, con voli radenti di Mig sul centro del Cairo, come dire: «Noi siamo qui». E si guardi alla piazza: dopo la rivoluzione, Tahrir era con i militari, «popolo e soldati mano nella mano» dicevano gli slogan. Poi c’era stata la frattura e una parte importante come i giovani del 6 Aprile aveva perfino appoggiato Morsi contro la Giunta e il ritorno al passato. Alleanza in bilico pure questa, da mesi, e ora finita.
I recenti eccessi di Morsi che lo hanno isolato hanno anzi creato una nuova unità  tra i suoi nemici, culminata nel Fronte di salvezza nazionale di ElBaradei, Sabahi e Moussa. Sulla sua tenuta sono leciti dubbi e sarà  la campagna elettorale a provare quanto le anime del Fsn riescano a collaborare. Ma nel breve saranno comunque compatte contro il raìs, soprattutto se questo non manterrà  la promessa di rinunciare ai pieni poteri dopo il «sì» alla Carta, ovvero da oggi, trasferendo quello legislativo al Senato fino al voto per il Parlamento. Oltre al fronte politico quello che però pone più rischi per il raìs (e per l’intero Egitto) è quello economico. Gli ultimi dati sono drammatici: le riserve sono crollate in due anni da 35 a 15 miliardi di dollari, il deficit pubblico ha toccato i 13 miliardi, lo spread (sui bond Usa) continua a salire ed è quasi a 500, la disoccupazione è massiccia quanto il crollo degli investimenti. E Morsi ha dovuto rinviare la richiesta di 4,8 miliardi di dollari al Fmi (già  concessi sulla carta) non potendo imporre al Paese le misure di austerità  richieste dal Fondo. Misure cruciali ma nemmeno nei prossimi mesi di campagna elettorale il raìs potrà  attuarle. A meno qualcosa cambi davvero, adesso. E Morsi con la Fratellanza dimostrino di aver finalmente imparato quelle due lezioni.


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