by Sergio Segio | 22 Dicembre 2012 8:08
ROMA — La mattina di Natale spingendo un carrello al supermercato, facendo acquisti in un centro commerciale o curiosando fra le ultime novità di un negozio high-tech. Il 25 dicembre stare a casa non sarà più obbligatorio e andare in Chiesa non sarà la sola alternativa praticabile. Quest’anno, chi lo vorrà , potrà andare a comperare il latte e il detersivo: l’ultimo tabù è caduto, e a frantumarlo è stato — un anno fa — il decreto Salva Italia.
Fra le strategie messe in campo per rilanciare il Paese e i consumi, il governo Monti ha introdotto la liberalizzazione totale delle aperture e degli orari commerciali e quest’anno, per la prima volta, diverse catene hanno deciso di approfittarne. La crisi dei consumi è forte e una delle pochissime voci in crescita nelle Feste è l’alimentare: il 94 per cento degli italiani, secondo un sondaggio Confesercenti, il pranzo di Natale lo farà a casa. Perché far mancare al cliente la possibilità di comperare l’ultimo panettone? Ecco dunque che a Milano, la grande maggioranza dei supermercati Billa (17 sue 19), il 25 dicembre resterà aperto dalle ore 8 alle 13. Serranda alzata anche a Brescia, Novara, Torino o Genova. A Roma no. Aperture, quindi a macchia di leopardo, più frequenti la mattina del 26 dicembre.
Ma la catena austriaca non sarà la sola a sfidare la tradizione. A Natale si potrà fare la spesa anche nei supermercati Unes presenti in Lombardia, Piemonte e Emilia: su 130 punti vendita, poco meno della metà sarà aperta al pubblico la mattina di Natale. «Lo facciamo per offrire la gastronomia al meglio della qualità , i clienti possono ritirare i piatti ordinati o acquistare pesce o affettati freschi — dice Rossella Brenna, direttrice marketing — Problemi con il personale? Nemmeno per idea, anzi molti dipendenti sono felici di arrotondare. E poi il 26 e il Primo siamo chiusi». Sempre fra i supermercati saranno aperti il 25 dicembre anche un centinaio di Carrefour Express, i punti vendita «sotto casa» di minori dimensioni. Dall’alimentare all’high-tech: resterà aperto tutto il giorno il Media World appena inaugurato alla stazione centrale di Milano.
Il giorno dopo a fargli compagnia ci saranno anche i negozi di Caserta, Genova, Reggio Calabria. Il primo gennaio aperture anche a Firenze. «Lavoreremo soprattutto sul cambio dei regali e sulle integrazioni: cavetti, batterie, schermi e quant’altro possa servire all’utilizzo del dono ricevuto — spiega la catena di negozi elettronici
— d’altra parte le Feste e, immediatamente dopo i saldi, saranno l’unico momento commercialmente frizzante. Vista la crisi come non approfittarne? ». Più complessa la vicenda a Roma,
dove l’assessore al commercio ha cercato inutilmente fino all’ultimo una mediazione fra le varie associazioni di negozianti. Se l’apertura domenicale dei centri commerciali è prassi e quella del 26 dicembre quasi, il Natale a serrande aperte, nella città del Vaticano, crea ancora qualche remora.
Alla Chiesa, ai sindacati e ai piccoli negozi massacrati dalla grande distribuzione, si sa, la questione non va giù. Lievitano quindi le polemiche, anche se il «fronte della liberalizzazione », pochi giorni fa, ha segnato un punto importante. La Corte Costituzionale ha respinto il ricorso presentato da otto Regioni contro la «lesione dell’autonomia amministrativa » praticata dal governo. Sentenza che Federdistribuzione ha accolto con piacere: «Ha confermato una legge che ha permesso un assetto più moderno e concorrenziale del commercio» ha commentato il presidente Giovanni Cobolli Gigli.
Di parere diverso il sindacato: Filcams Cgil esprime «sconcerto e preoccupazione: nella vana speranza di un incremento delle vendite non c’è rispetto della concorrenza e dei diritti dei lavoratori». Parere condiviso da Mauro Bussoni, vicedirettore Confesercenti. «Grazie Salva Italia — ironizza — guarderemo con calma tutto ciò che non possiamo comprare». L’associazione sta raccogliendo le firme per una legge d’iniziativa popolare battezzata «Libera La Domenica». Al suo fianco c’è la Chiesa che organizza raccolta firme all’uscita dalle messe. «Non si tratta di difendere solo un valore religioso — aveva dichiarato lanciando la campagna monsignor Giancarlo Bregantini, presidente della Commissione Cei per i problemi sociali — ma una intera dimensione antropologica e sociale».
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