La recessione di Praga. Tira l’export, va giù l’economia
PRAGA. I dati statistici sull’andamento dell’economia ceca, divulgati pochi giorni fa dall’Ufficio della statistica ceco Csu, sono impietosi. L’Ufficio ha infatti rilevato nel terzo trimestre un calo del Pil dell’1,3% su base annua, mentre il principale settore dell’economia ceca, quello industriale, ha fatto segnare un -2,3%.
La tigre del centro Europa è impantanata in una recessione che dura ormai da quattro trimestri e che non sembra destinata a finire neppure nella prima metà del 2013. Eppure la Repubblica ceca sembrava un allievo modello del paradigma dell’economia basata sull’export. Infatti i beni esportati rappresentano quasi il 70% del Prodotto interno lordo ceco e non hanno smesso di crescere neanche in quest’ultimo anno di recessione. Come mostrano i dati del Csu, dall’inizio anno a settembre le esportazioni sono cresciute dell’8% e la bilancia commerciale con l’estero ha segnato un avanzo record di 283 miliardi di corone.
Questi pochi dati statistici mostrano come neanche un forte aumento delle esportazioni sia sufficiente a tenere in crescita una piccola economia orientata fortemente verso la produzione per l’estero come è quella ceca. Le radici della situazione di crisi sono da ricercare soprattutto nel calo dei consumi del 2,3% nel solo terzo trimestre e della creazione di capitale fisso, scesa del 2,4%. Si tratta di cali notevoli e duraturi, visto che negli ultimi due anni la domanda interna si è contratta in maniera significativa. Inoltre i salari reali sono in calo ormai dal 2010 e la politica fiscale restrittiva si è abbattuta soprattutto sul settore dell’edilizia, la cui produzione è tornata ai livelli del 2004.
La situazione macroeconomica ha aperto delle nuove crepe nei vari gruppi sociali cechi. Non sorprende che la politica restrittiva del governo conservatore guidato da Petr Necas sia criticata dalla maggiore confederazione sindacale, la Cmkos. «La politica del governo sta portando l’economia in una spirale di crisi senza fine composta di tagli alla spesa, della conseguente caduta della domanda interna e quindi del gettito fiscale», dice il principale analista economico della confederazione, Martin Fassman. Tuttavia la politica economica del governo Necas, composta di tagli alla spesa corrente e agli investi, oltreché di un sempre più evidente spostamento del carico fiscale dalla tassazione diretta a quella indiretta, ha suscitato numerose critiche anche nei ceti sociali che alle ultime elezioni parlamentari hanno sostenuto i partiti di governo.
Soprattutto i professionisti, le imprese edilizie, i commercianti al dettaglio e altri piccoli esercenti sono stati profondamente irritati dai continui cambiamenti verso alto delle aliquote dell’Iva, che sono cresciute in pochi anni fino al 21% per l’aliquota base e il 15% per l’aliquota ridotta. «Siamo fortemente contrari al continuo innalzamento delle aliquote dell’Iva, verificatosi negli ultimi due anni, perché crea incertezza per i piccoli imprenditori e ha un impatto fortemente negativo sui consumi interni», ha dichiarato Petr Kuzel, il Presidente della Camera di Commercio ceca.
E proprio il continuo innalzamento dell’Iva e lo spostamento del baricentro del carico fiscale verso la tassazione indiretta ha creato una forte frattura nella borghesia ceca, che si è mostrata pienamente nell’ennesima crisi di governo del novembre scorso, consumatasi proprio sulla questione delle aliquote di questa imposta. Una frattura visibile anche sul piano delle organizzazioni padronali: mentre la Confindustria ceca, Spd, che riunisce soprattutto le grandi e medie imprese industriali orientate all’export, è tutto sommato favorevole alla politica fiscale del governo Necas, la Camera di commercio ceca, che riunisce imprenditori molto più dipendenti dal mercato interno, è su posizioni praticamente opposte.
Dinnanzi al sostanziale fallimento del modello dell’economia orientata verso l’export il governo tuttavia preferisce chiudere gli occhi. «Per riprendere a crescere bisogna far cominciare a esportare le piccole e medie imprese verso i mercati emergenti», ribadisce il ministro dell’Industria Martin Kuba. Una strada difficilmente praticabile, visto che i maggiori organismi internazionali segnalano una stagnazione della domanda globale, e dato che le Pmi industriali ceche spesso non producono dei prodotti finali ma solo dei semilavorati per le industrie tedesche.
E’ ormai chiaro, che con la sua politica economica il governo Necas si è isolato in una ridotta ideologica, abbandonata anche da molti ceti sociali orientati a destra. E la sinistra ceca ha quindi delle ottime chances per un successo storico alle elezioni parlamentari del 2014.
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