La Procura sfida la Corte “Telefonate da conservare almeno per un altro mese”

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PALERMO — Ancora per un mese, forse due, le quattro intercettazioni fra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l’ex ministro Nicola Mancino resteranno in una cassaforte della Procura di Palermo, quella che custodisce gli atti segreti dell’indagine sulla trattativa mafia-Stato. «Per avviare il procedimento di distruzione bisognerà  attendere le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale », dice il procuratore capo Francesco Messineo: «Martedì sera, la Corte ha diffuso solo un comunicato, seppure ufficiale». Così, all’indomani della decisione della Consulta sul conflitto di attribuzioni, rischia di aprirsi un nuovo braccio di ferro con il Colle, sui tempi della procedura ormai indicata come l’unica possibile dalla Corte Costituzionale. Le motivazioni della Suprema Corte non arriveranno prima di gennaio, dunque il caso è destinato a restare aperto fino ad allora.
«Nelle motivazioni — sostengono i magistrati di Palermo — la Consulta potrebbe indicare un percorso particolare da seguire. Ecco perché bisogna attendere». Di certo, i magistrati dovranno inviare al giudice delle indagini preliminari le quattro conversazioni fra Napolitano e Mancino, che sono destinate ad essere distrutte «senza contraddittorio», così rileva la Corte Costituzionale nel suo comunicato ufficiale: ovvero, senza che gli indagati dell’inchiesta sulla trattativa mafia-Stato (non solo Mancino, ma anche tutti gli altri) possano intervenire, e soprattutto leggere quelle intercettazioni.
IL GIUDICE COMPETENTE PER LA DISTRUZIONE
Del caso si occuperà  il gip Riccardo Ricciardi, che fra novembre 2011 e maggio scorso ha già  firmato tutti i decreti che autorizzavano le intercettazioni della Dia nell’ambito dell’indagine trattativa. Nel fascicolo-cassaforte, che ha il numero «11609/08», non ci sono solo le telefonate del capo dello Stato, sono conservati anche i fascicoli riguardanti l’ex ministro della Giustizia Giovanni Conso e l’ex direttore del Dap Adalberto Capriotti, entrambi indagati per false dichiarazioni. Nello stesso contenitore d’inchiesta continuano a confluire nuove indagini sul patto Stato-mafia, che riguarderebbero le posizioni di altri uomini delle istituzioni, alcuni di questi appartenenti ai servizi di sicurezza: a guidare gli accertamenti della Dia di Palermo sono i sostituti procuratori Nino Di Matteo, Lia Sava, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. Dopo la partenzadi Ingroia per il Guatemala, il ruolo di coordinatore del pool è stato assunto dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi. Il procuratore capo Messineo continua invece a non essere titolare dell’inchiesta.
Dal contenitore «11609/08» è nato anche il processo attualmente in corso all’udienza preliminare, che riguarda 12 imputati fra boss e uomini dello Stato come Mancino, Mannino, Mori e Dell’Utri.
L’UDIENZA PRELIMINARE ALLE BATTUTE FINALI
Fino ad oggi, la Procura di Palermo ha avuto ragione su tutta la linea. Il gup Piergiorgio Morosini ha rigettato la raffica di eccezioni presentate dalle difese, per spostare il processo: Mancino chiedeva di non essere processato con i boss, e di essere giudicato dal tribunale dei ministri. Anche Mannino, Dell’Utri e il generale Mori puntavano al trasferimento del caso a Roma. Il capomafia Salvatore Riina sollecitava invece un processo a Caltanissetta o a Firenze. Martedì, Morosini ha rigettato tutte le richiesta
ribadendo che al momento il processo resta fermamente ancorato a Palermo. Il giudice ha poi fissato un’altra udienza per le ulteriori eccezioni delle difese, il 13. Già  il 20 dicembre potrebbe arrivare l’intervento dei pubblici ministeri: in realtà , prima di questo passaggio, qualcuno degli imputati potrebbe anche chiedere di essere giudicato immediatamente, con il rito abbreviato. Di certo, a gennaio, ci saranno le conclusioni di tutte le parti e poi arriverà  la decisione sul rinvio a giudizio.
In Procura si continua comunque a lavorare come se l’inchiesta fosse tutt’altro che chiusa: nei giorni scorsi, i pm hanno depositato in udienza cinque faldoni di nuovi atti, che riguardano la figura di Francesco Di Maggio. Secondo l’avvocato Rosario Cattafi, oggi al 41 bis, l’ex vice direttore del Dap gli avrebbe chiesto di fare intermediario con il boss Nitto Santapaola, per fermare le stragi. Sono ancora tanti i misteri di quei drammatici mesi del ’92-’93.


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