La mossa: restare e dare l’incarico
ROMA — Quella «brusca accelerazione» impressa dall’annuncio delle dimissioni di Monti, l’8 dicembre, ha cambiato tutto su diversi fronti cruciali. In primo luogo sul calendario istituzionale di fine legislatura. E poi sui progetti del professore, verso il quale si è esasperata la pressione di quanti — non solo in Italia — lo incitano a entrare nella scena politica. Ma quello stop ha soprattutto scardinato i programmi di Giorgio Napolitano. Che non si congederà più dal Quirinale con qualche settimana d’anticipo, come aveva già detto, lasciando al proprio successore il compito di gestire l’ingresso del Paese in una nuova fase. Resterà invece al suo posto fino all’ultimo e sarà lui a esplorare gli orientamenti dei partiti dopo il voto e ad affidare l’incarico al nuovo premier. Lo farà «mio malgrado», spiega, puntualizzando che stavolta si tornerà alla fisiologia democratica (non che la parentesi tecnica sia stata una patologia, beninteso, piuttosto una soluzione d’emergenza) e che dunque a Palazzo Chigi salirà colui che avrà avuto i maggiori consensi.
In cauda venenum, osservano alcuni ospiti del Salone dei Corazzieri, che hanno appena ascoltato questo passaggio costruito per chiudere (tra le pagine 24, 25 e 26) il deluso e tagliente discorso del capo dello Stato. In realtà , nella coda della sua riflessione non c’è alcun veleno, come forse piace pensare a chi è sensibile ai boatos che insistono a veicolare l’idea di forti contrasti tra i due presidenti. C’è una constatazione di fatto. Un mezzo sfogo personale. E, sì, forse anche un consiglio (l’estremo) a Mario Monti.
La constatazione è che il precipitare della dialettica interna alla maggioranza verso la sfiducia ha bruciato le tappe del percorso previsto da Napolitano. Calcolati gli adempimenti costituzionali e venuto meno l’ipotetico e temuto «ingorgo» istituzionale, adesso si rischia il vuoto di un mese tra l’insediamento delle nuove Camere e la scadenza del suo settennato. Un tempo sospeso che materializza prospettive insopportabili, per un Paese ancora scosso dai postumi della crisi economica.
Lo sfogo, volendo proprio coglierlo, è che con questa sortita il presidente in un certo senso si vendica, spiazzandoli, di tutti coloro che hanno alimentato il sospetto che lavorasse per un bis del professore in veste di premier: no, al suo posto provvederà a insediare il vincitore delle elezioni. Uno sbocco «naturale», inevitabile, fisiologico. Del resto, Costituzione alla mano, le cose non potrebbero davvero andare diversamente.
Il consiglio a Monti, considerate tali premesse, si potrebbe tradurre in un richiamo a un supplemento di riflessione, a ponderare ogni variabile, prima di sciogliere la riserva sull’ingresso in politica.
Ecco: qui sta il punto politico — e il risvolto umano — di questo capitolo del bilancio tracciato ieri dal capo dello Stato. Ci si può cogliere anche qualche traccia di frizione, venata di amarezza, tra lui e Monti. Infatti, si sa, Napolitano avrebbe preferito che il professore non vestisse i panni del «competitor» nella prossima campagna elettorale. Nemmeno in via indiretta, ad esempio come sponsorizzatore di una lista o federatore di un cartello di liste. Lo aveva nominato senatore a vita, ritagliandogli addosso subito dopo uno sbocco da premier tecnico, proprio perché sopra le parti. Una riserva della Repubblica che, impegnandosi nella competizione politica, perderebbe il profilo di terzietà . Una risorsa del Paese che avrebbe potuto essere richiamata in servizio anche quando la stagione dei tecnici sarà conclusa.
Monti, che il presidente ha gratificato con espliciti riconoscimenti ma anche con alcune oblique critiche, ha fatto sapere che deciderà il proprio futuro entro questa settimana. Nel colloquio di domenica, Napolitano ha dimostrato rispetto e comprensione per la chiamata al dovere alla quale il professore sente di dover rispondere. I suoi dubbi, comunque, qualcuno ha creduto di leggerli nella freddezza con cui lo ha salutato, facendogli aspettare per qualche minuto la stretta di mano al momento degli auguri.
Marzio Breda
Related Articles
Lusi, Guardia di finanza bloccata in Senato
Nei conti della Margherita alla Bnl causali “multiple” per coprire gli ammanchi I documenti saranno ora acquisiti presso la sede centrale della banca
Il Cavaliere non cederà sul Viminale L’idea del rimpasto
Il Viminale casella «vietata» nel possibile scambio di poltrone
E’ al tempo stesso una necessità e una professione di ottimismo, l’idea che le «larghe intese» sopravviveranno al giorno del giudizio, che la Cassazione sarà benevola verso il governo oltre che verso Berlusconi.
Il leader e l’ex sindaco, un rapporto solido tra sospetti e gaffe
«Filippo non ha bisogno di presentazioni dal punto di vista della capacità di governo, della solidità e della serietà . Ha tutto più di Formigoni, tranne l’arroganza». Chissà se il segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani ripeterebbe adesso le parole che pronunciò a Milano nel dicembre del 2009, quando decise di lanciare la candidatura di Penati alla presidenza della Lombardia per le elezioni regionali dell’anno dopo.