La malasanità  di Monti

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Volendo rimanere nell’ambito della «teoria del benessere» – la branca “buonista” della teoria neoclassica dominante – ogni sistema sanitario, pubblico o privato, si fonda su un principio assicurativo: come per gli autoveicoli, tutti si contribuisce a un fondo assicurativo comune utilizzato da coloro che vanno incontro a sfortunati eventi. Questo è fatto con principi redistributivi nel sistema pubblico, per cui a parità  di prestazioni chi percepisce redditi più elevati contribuisce in misura maggiore; senza principi redistributivi nel sistema privato, per cui la fascia più benestante della popolazione si crea la propria assicurazione sanitaria in cui paga molto e avrà  prestazioni di ottima qualità  (e comunque ampia copertura delle spese), mentre la fascia più disagiata paga meno con prestazioni di minore qualità  (e comunque solo parziale copertura delle spese). Le spese assicurative sarebbero inoltre assai onerose negate al crescere dell’età  dell’assicurato (essendo, ahimè, la probabilità  di incorrere in spese sanitarie legata all’età ). Va poi ricordato come le assicurazioni private mirano a realizzare profitti che vanno a ridurre le prestazioni a parità  di contributi (nella mia esperienza aderisco a una mutua sociale che, nonostante le nobili origini nel movimento operaio, ha dei costi di gestione abnormi). 
Se oltre alla privatizzazione parziale o totale delle modalità  di finanziamento della spesa – dalla fiscalità  generale alle assicurazioni private – si aggiungesse quella dell’offerta dei servizi (privatizzazione degli ospedali), la ricerca del profitto farebbe lievitare ulteriormente i costi del sistema. Fuori dagli infingimenti assicurativi tipici dell’economia borghese, il colpo al Ssn è un’ulteriore sferzata alla parte indiretta del salario dei lavoratori relegati a un welfare per i poveri (che non può che essere un povero welfare state).
Monti si mostra preoccupato che con l’invecchiamento della popolazione il finanziamento di una spesa crescente del sistema sanitario nazionale comporti una maggiore imposizione fiscale sui redditi. Ma se al contributo che già  si versa al Ssn come parte dell’imposizione fiscale – e che non verrà  ridotto – si aggiunge una quota addizionale da versarsi alle assicurazioni private, qual è il vantaggio per i redditi dell’insieme del ceto-medio? Nessuno a fronte in realtà  dei molti svantaggi, costi maggiori e maggiore diseguaglianza nel diritto alla salute. L’unico vantaggio è per i super-ricchi che non vedranno accrescere la loro contribuzione alla sanità  sociale. 
Insomma, un sistema privato è più costoso, inefficiente e ingiusto di uno interamente pubblico. Questo va naturalmente migliorato, e molto è stato già  fatto (cfr. Stefania Gabriele nell’e-book Oltre l’austerità ). Mentre dunque il sistema pubblico è il migliore per affrontare l’invecchiamento relativo della popolazione, sono le cieche politiche di austerità  a predisporre un futuro buio per questo paese, giovani senza lavoro non in grado di sostenere anziani la cui vita attesa non potrà  che, a quel punto diminuire, come accaduto in Russia dopo la fine del socialismo reale. 
Una bella soluzione per una conquista sociale – vivere più a lungo assistiti – che invece il prof. Monti vede solo come un problema per smantellare i diritti sociali e tutelare i ceti dominanti. Anni fa Elsa Fornero propose piani di privatizzazione del sistema previdenziale pubblico che la migliore letteratura internazionale (fra cui chi scrive, si parva licet) dimostrò economicamente inconsistenti. Neppure bravi economisti, dunque, e con una agenda chiaramente antipopolare. 
E’ chieder troppo che Bersani e Vendola prendano apertamente le distanze, ora e per il futuro, dall’agenda-Monti trasformando queste elezioni in un referendum pro o contro l’austerity?


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