La «Terza Repubblica» nasce già  in agonia

by Sergio Segio | 27 Dicembre 2012 11:54

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L’uomo è un combattente, capace d’inattesi recuperi. Vedremo. Per intanto chi dovrebbe più profittare del fallimento di Berlusconi è il Pd. Il quale però soffre in partenza di due gravi handicap. Il primo è che non è riuscito a dimostrare a sufficienza la sua diversità  morale dal centrodestra, consentendo la grande avanzata di Grillo. Il secondo è quello di essersi dissanguato a sostenere lealmente il governo Monti.
Il quale nell’ultimo anno ha inscenato un fosco rito espiatorio, che allo pseudoliberalismo cialtrone e predatorio di Berlusconi ha preteso di rimediare – forse solo aggravando il disastro – con un fascio di misure adottate con spietato furore ideologico, che hanno strangolato e impoverito il paese. Enti locali, pensioni, scuola, sanità  e ogni sorta di pubblico servizio, già  massacrati dal berlusconismo, sono stati colpiti, forse mortalmente. L’ultimo episodio è il taglio di 400 milioni alla scuola, compensato da una simmetrica elargizione di fondi alla Tav. 
C’erano le condizioni politiche per impedirlo? Non sappiamo. Sta di fatto che il Pd ha sostenuto il rito espiatorio, solo sporadicamente e marginalmente alleviando le misure assunte via via dal governo. Benché ostenti sicurezza, il Pd di Bersani versa dunque in gravi ambasce. 
Le primarie hanno sollecitato l’attenzione mediatica e fatto impennare i sondaggi, che tuttavia hanno spesso sovrastimato alla vigilia delle elezioni il consenso del centrosinistra. Di cui sono anzitutto poco chiari gli intenti. C’è chi lo accusa di condividere l’essenziale delle scelte di Monti. Di sicuro Bersani, messa in sicurezza la frontiera verso sinistra col contributo di Vendola, si è proteso verso il centro, corteggiando Casini con zelo imbarazzante. 
Casini è riuscito a far dimenticare la sua protratta solidarietà  con Berlusconi. Ma implica al momento la più supina adesione all’operato di Monti, al quale peraltro più volte Bersani ha fatto in pubblico la corte, adombrando la possibilità  d’ingaggiare qualcuno dei suoi ministri – inclusa l’autrice di quel capolavoro che sono stati gli esodati – per un suo eventuale governo. Ciò malgrado, i poteri che contano seguitano a negarsi. E sono in cerca di un’alternativa. Monti sarebbe l’ideale. Ma di che sorta di alternativa potrebbe trattarsi?
In un brillante saggio di più di trent’anni fa Giuliano Amato aveva avanzato un’interpretazione in chiave protezionistica dell’ultrasecolare vicenda dell’industria italiana. La quale si sarebbe costituita e sarebbe cresciuta in virtù delle protezioni ufficiali e ufficiose ottenute dallo Stato e dalla politica. È un’interpretazione che aiuta a comprendere cos’è accaduto allorché l’ortodossia neoliberale ha opposto severe restrizioni al protezionismo. Nato come «palazzinaro» e cresciuto come «pirata» di frequenze televisive, Berlusconi è figlio della sua versione più degenerata, che ha sostituito con la più spregiudicata spoliazione delle risorse pubbliche, propiziata peraltro dalle privatizzazioni volute dal centrosinistra. 
Se non che, delle politiche berlusconiane ha beneficiato pure l’ala nobile dell’imprenditoria, ritrovatasi anch’essa orfana delle protezioni statali e delle alchimie azionarie di Cuccia. E che, con qualche ritardo, una volta accertati i disastri perpetrati dall’ala plebea, si è risvegliata. Dapprima ha agevolato l’avvento di un suo fiduciario alla guida del governo: Mario Monti. Adesso immagina un suo impegno diretto: condotto da Monti, se possibile, ma, se del caso, da qualcun altro. Si è in tal modo assemblata una ben curiosa compagnia: un uomo Fiat come Montezemolo, il solito corteggiatissimo Casini, qualche cattolico gradito al Vaticano, qualche «quisling» sindacale e gli inevitabili intellettuali di servizio. 
Il problema è che il mondo imprenditoriale italiano – nobile e plebeo – non solo ha a lungo avallato Berlusconi, ma è soprattutto responsabile della condizione disperata in cui versa l’economia reale. Ha finora scaricato la responsabilità  sulla politica e sullo Stato, ma se il debito pubblico è esploso, la ragione sta più nella crescita che manca che negli eccessi della spesa. Da almeno un ventennio gli imprenditori non rischiano e non innovano. Speculano e si accaparrano utilities. Mentre, a fare qualche confronto internazionale, gli sprechi della spesa pubblica sono assai meno di quel che si racconta. In attesa di decidere come sarà  della partita, Monti ha già  inaugurato con Marchionne la campagna elettorale del nuovo soggetto politico dallo stabilimento Fiat di Melfi, mettendo in scena perfino gli applausi degli operai. È una vecchia storia, quella delle vittime che applaudono i loro carnefici. 
Purtroppo, le difese opposte dal Pd sono fragili e non sappiamo neanche se siano più difese o smanie di compromesso. Contro cui si propone quale antidoto il cosiddetto quarto polo. A sinistra del Pd c’è un certo spazio: presidiato da elettori, idee, galantuomini e anche da qualche opportunista. Quel che sconcerta – chiediamo scusa per il palato difficile – è che pure in questo spazio si cerchi anzitutto il personaggio che faccia da leader e che lo si cerchi per giunta in un magistrato che, per quanto bravo, era fino a ieri impegnato a indagare sui protagonisti della vita politica. La separazione dei poteri è principio democratico da salvaguardare con cura. Quanto alla moralità  della politica, è una sacrosanta ambizione, ma non una politica. Il cosiddetto «quarto polo» offre spunti progettuali di pregio. Ma se anch’esso non trova di meglio che sottomettersi alle prescrizioni dei media e cavalcare l’antipolitica, c’è ben poco da cavarne. Le ambiguità  del Pd,le rapine dei «prenditori», l’illusione della «soluzione morale» pura: qui si rischia il trionfo dei gattopardi

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