La «rivoluzione» non si ferma

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IL CAIRO. «Il nostro popolo vedrà  la luce, se sarà  approvata la Costituzione», hanno intonato le migliaia di sostenitori della Fratellanza intorno alle moschee Adawia e al-Rashadan di Medinat Nassr al Cairo. Mohammed e Ibrahim urlavano il loro sostegno per Morsi sulle schiene di altri giovani attraverso piccoli altoparlanti: «Siamo con il presidente», promettevano. Tra la folla, alcuni anziani in galabeya, la lunga tunica tradizionale, distribuivano copie gratuite, con una copertina verde, della bozza della Costituzione che sarà  votata il prossimo sabato.
Nei loro slogan, i sostenitori della Fratellanza non hanno risparmiato nessuno: dai leader dell’opposizione alla Corte costituzionale. E così si costruisce di ora in ora un fronte compatto per il «sì» ai 236 articoli della nuova Carta. «Sto leggendo la Costituzione e mi piace. Voterò “sì” per il ritorno della stabilità . Non mi spaventa che le opposizioni manifestino, ci vuole tempo perché venga realizzato quello che Morsi ha promesso», ci ha assicurato Mohammed Abdel Raham. Khaled, invece, giovane farmacista, ha ammesso di avere delle riserve: «Ci sono cose minori da cambiare, ma il nuovo parlamento potrà  ritoccare il testo che sarà  approvato sabato».
Non è della stessa opinione Walid, passeggero del piccolo camioncino che ci ha condotto per le arterie della città , insieme a undici passeggeri, per arrivare a Masr el-Ghedida o Heliopolis, come la chiamano i ricchi stranieri che vivono sulla strada per l’aeroporto. «Non può essere Morsi a migliorare questo paese se cambia idea ogni giorno, come ha fatto con la dichiarazione costituzionale», ha ribattuto il giovane. E infatti la scena di Ittihadeia, il palazzo presidenziale sotto assedio da una settimana, è ben più tesa che tra le moschee degli islamisti.
L’ultima speranza
Il fronte del «no» ancora non esiste. Questa gente spera che il referendum venga cancellato all’ultimo momento. Con loro ci sono liberali, socialisti, copti, ma sono riapparsi anche i feloul, gli uomini del vecchio regime o del dissolto Partito nazionale democratico, che in molte occasioni hanno chiesto di bocciare la nuova Costituzione. «Perché Hamdin Sabbahi (leader nasserista, ndr) è volato negli Emirati ad incontrare Ahmed Shafiq (ultimo primo ministro nominato da Mubarak, ndr)?», ha chiesto provocatoriamente Anas ai suoi amici nel bar Estorant di Roxy, sorseggiando un tè. Il dubbio di questi attivisti è se votare o boicottare il referendum costituzionale.
Più avanti in via Mamelik erano già  sistemate ambulanze e tende di emergenza, nei giorni scorsi sono morte ben nove persone in queste strade. E così, sono apparsi tutt’intorno al palazzo di Morsi, pannelli di plastica gialla con minuscoli fori nei pressi dei marciapiedi attraverso cui i manifestanti confluivano verso il palazzo. Mentre sotto i portici di Roxy, la guardia presidenziale controllava uno ad uno le persone in entrata, a lato si vedeva divelto del filo spinato. I primi slogan in via Ibrahim Lakani dicevano «Abbasso, abbasso, il governo del murshid (guida spirituale islamica, ndr)», ma un passo più in là  i marciapiedi erano stati già  trasformati in bar all’aperto con decine di sedie di plastica, mentre dei bambini tenevano su un pezzo di legno bicchieri, zucchero e caffè.
La battaglia finale
La guardia presidenziale si è schierata in fila sui marciapiedi che costeggiano il palazzo di Morsi. A Ittihadeia si è trasferita la gente di Tahrir, il nuovo spazio della protesta è enorme e il palazzo del presidente estremamente vicino. È qui che si sta combattendo la battaglia finale contro il referendum o l’ultima passibilità  di salvare la rivoluzione. Un signore marciava con un carretto finto al guinzaglio, mentre gli Ultras illuminavano i palazzi con i loro laser. «Rifiuto le decisioni di Morsi, dà  gli ordini come un dittatore. Per ora non vogliamo che il referendum ci sia perché ogni volta diventa un voto pro o contro il presidente. Invece sono in gioco le basi del nuovo Egitto, per questo sarà  il momento di dire “no” con tutta la nostra forza e non di boicottare il voto», ci ha raccontato Naiera, attivista vicina al premio Nobel per la pace el-Baradei. Con il passare delle ore, sono arrivati i cortei dai quartieri di Mataria e Abbasseia. «Il popolo vuole la fine del regime», gridavano decine di donne, usando le stesse parole del 25 gennaio 2011. A quel punto, alcuni manifestanti hanno tentato di scavalcare le barricate sistemate dall’esercito e si sono avvicinati al palazzo di Morsi.
Ma ieri sera sono arrivati anche i primi segni di distensione dal leader dei Fratelli musulmani. Il ministro della difesa e comandante delle forze armate, Abdel Fatah el-Sisi, ha rivolto un appello a rivoluzionari, ai vertici della moschea al Azhar, copti, giudici, giornalisti e artisti per riavviare il dialogo nazionale. Mentre, in una nota, il presidente Morsi ha precisato che l’invito alla distensione viene prima di tutto dal presidente.
I civili arrestati
Non solo, ha fatto sapere che i civili arrestati dall’esercito in questi giorni non compariranno davanti alle corti militari, tentando così di gettare acqua sul fuoco alle polemiche dei giorni scorsi in merito ai poteri speciali conferiti ai militari. Nonostante ciò, il 90 per cento dei giudici si rifiuta ancora di supervisionare il referendum costituzionale.
Società  egiziana divisa in due
Quale sia l’esito di questo ennesimo tentativo di dialogo è difficile dirlo, lo scorso sabato nessun esponente principale del fronte dell’opposizione si era presentato al cospetto di Morsi, nonostante la sua decisione di ritirare il decreto che ampliava i suoi poteri.
Mentre tutte le città  egiziane si dividono in due tra pro e anti Morsi, a favore e contro il referendum, Tahrir resta la caricatura di se stessa, la testimonianza di un movimento sociale che ora ha trovato nuovi spazi. Ma nella notte, una banda armata ha fatto irruzione tra le tende del «popolo della rivoluzione» e ha ferito dieci persone. Nulla è scontato in Egitto, il frenetico ritmo della campagna elettorale sta riportando nelle vie del Cairo il ricordo della «rivoluzione».


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