La lezione di Fukushima spiegata ai nuovi governanti
KYOTO. «I tentativi del governo e della società giapponese di far finta che il disastro nucleare di Fukushima non sia successo ricordano i comportamenti delle autorità di vari paesi e degli organismi internazionali dopo l’incidente nucleare di Cernobyl. L’altra volta, la situazione cambiò dopo circa quattro anni, quando il mondo venne a conoscenza dei gravissimi danni alla salute provocati dall’incidente e cominciò a mobilitarsi», ricorda Eri Watanabe, responsabile energia di Friends of Earth Japan. «Per ridurre al minimo i danni alla salute di chi non può allontanarsi da Fukushima, l’attenzione e le pressioni della società civile mondiale sulle autorità saranno le uniche risorse su cui possiamo contare».
Le sue parole riassumono lo spirito con cui alcune associazioni giapponesi – tra cui la medesima FoE e Peaceboat – hanno organizzato a Tokyo e a Koriyama, nella provincia di Fukushima, a 60 km dalla centrale, una serie di iniziative popolari in concomitanza con l’incontro ministeriale sulla sicurezza nucleare organizzato dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) e il governo giapponese svoltosi a Koriyama tra il 15 e il 17 dicembre. L’improvviso scioglimento della camera bassa seguito dalle elezioni politiche di domenica scorsa che hanno sottratto l’attenzione dei media sulle iniziative di Nuclear Free Now! non sembra aver scoraggiato i partecipanti – oltre 5 mila persone, con 25 ospiti stranieri provenienti da 9 paesi.
Sotto tre tematiche principali, il controllo dell’energia nucleare, la lezione di Chernobyl e la costruzione di una società senza il nucleare, a Hibiya nel cuore di Tokyo si è svolta la seconda Conferenza globale per un mondo libero dal nucleare accompagnata da una manifestazione con un corteo al quale hanno partecipato diverse migliaia di cittadini e vari piccoli eventi laterali (sulla prima edizione della conferenza si veda il manifesto del 20 gennaio 2012).
Invece, a Koriyama, la città più grande della provincia e la seconda nell’intera regione nordorientale del Giappone, mentre i rappresentanti di 117 paesi e 13 organizzazioni internazionali discutevano sugli impianti nucleari più sicuri, hanno avuto luogo due iniziative che contrastavano questa visione: una era il Fukushima Action Project, organizzato dagli abitanti locali che volevano sorvegliare l’incontro ministeriale e chiedere di avere voce in capitolo; l’altra era un incontro di studi tra i rappresentanti del network giapponese dei sindaci per un mondo libero dal nucleare e una delegazione europea degli amministratori locali e parlamentari, con un nutrito gruppo dei verdi francesi.
Dall’Italia, dal Centro di documentazione Semi sotto la neve, associazione pisana già presente al primo Global Conference for a Nuclear Free World, è arrivata Monica Zoppè, attivista di Legambiente nonché membro di Pugwash, un’associazione internazionale di scienziati impegnati contro le armi nucleari. Zoppè è intervenuta nella sessione «Costruire una società senza il nucleare» parlando delle campagne referendarie contro il nucleare italiano del 1987 e del 2011. La storia del nucleare e dei movimenti antinucleari in Italia sembra offrire ai giapponesi non solo un prezioso incoraggiamento, ma anche vari spunti di riflessione sulle ragioni della loro difficoltà d’influire sulla politica nazionale e locale.
La Dichiarazione di Tokyo per un futuro libero dal nucleare, lanciata al termine della Conferenza, ribadisce che una società de-nuclearizzata non significa solo una società dove non esistono le centrali, ma che è «attenta alle singole persone, alle comunità e al lavoro». Questa trasformazione radicale porterà inevitabilmente verso un modello di società decentrata e orizzontale con la gestione democratica dell’energia, proiettata al basso consumo e all’ampio utilizzo dalle fonti rinnovabili. «Come le radiazioni non riconoscono i confini nazionali – conclude il documento finale – Hiroshima, Nagasaki e Fukushima sono esperienze tragiche che l’intera umanità deve condividere considerandole una chiara ammonizione per il suo futuro».
Hideyuki Ban, co-direttore del Citizens’ Nuclear Infomation Center, un’altra organizzazione promotrice della conferenza, esprime la sua soddisfazione per il risultato dell’evento. «Rispetto alla prima conferenza – dice – eravamo in pochi. Ma nella sessione sulle norme di sicurezza nucleare che ho cordinato abbiamo fatto conoscenza di alcuni esperti, ex nuclearisti convertiti dopo il disastro di Fukushima, disponibili a collaborare con noi».
Anche Eri, l’attivista di FoE citata all’inizio dell’articolo, dice di non aver perso la speranza. «Con il nuovo governo che potrebbe rilanciare il nucleare, temiamo che il nostro lavoro possa ulteriormente complicarsi. D’altronde, anche i politici a favore del nucleare sono cittadini, molto probabilmente genitori o nonni che non credo che vogliano male ai loro figli e al Paese. Quindi, dobbiamo cercare di unire le forze per scoprire cosa esattamente sta succedendo, affinché si possano evitare i danni evitabili, e condividere le conoscenze acquisite con tutto il mondo».
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